Alessio I
È generalmente noto come il regno di Pietro il Grande segni nella storia russa un importante spartiacque. È negli anni della sua dominazione, infatti, che l’impero zarista, oltre ad ottenere numerosi successi bellici, inaugura la stagione del confronto con il modello occidentale, segnata dalla fondazione di Pietroburgo, “la finestra russa sull’occidente”.
Prima di addentrarsi in quello che sarà il nuovo mondo di Pietro il Grande, è bene fare chiarezza sull’ordinamento sociopolitico dello stato russo, che dopo i drammatici anni dei torbidi si era avviato verso un nuovo ordine sotto la guida degli zar Michele, Alessio e Teodoro III poi.
La salute dello stato moscovita conseguente i lunghi anni di disordini interni era preoccupante: il crollo finanziario sembrava essere alle porte, la minaccia straniera di polacchi e svedesi ancora incombeva sui territori nordoccidentali e gruppi di banditi continuavano a provocare disordini interni.
Per gestire i problemi incombenti Michele Romanov decise di mantenere in vigore l’assemblea che lo aveva eletto, per essere assistito e consigliato, mandando così anche un segnale di volontà di solidarietà tra le diverse componenti sociali.
Questa nuova coalizione permise di affrontare, ma non risolvere definitivamente, il problema dell’assenza di capitale nelle tasche dello stato attraverso l’esazione di arretrati, nuove tasse e prestiti dalle famiglie boiare più benestanti.
Si decise poi di concedere l’amnistia a tutti i banditi che si fossero arruolati nell’esercito per combattere svedesi e polacchi, fino a quando non si arrivò alla firma dei trattati di pace. Con i primi si firmò la pace di Stolbovo nel 1617 che restituiva alla Russia la città di Novgorod, ma assegnava al regno di Svezia la striscia di terra che si affacciava sul golfo di Finlandia, privando così i russi dell’accesso al mare. L’anno dopo, nel 1618, si firmò invece la tregua di Deulino con la Polonia, che otteneva la città di Smolensk e altre regioni limitrofe nella Russia occidentale.
La morte in giovane età di Michele portò sul trono nel 1645 il figlio Alessio il Tranquillissimo, sebbene non si possa definire tale il suo regno.
Oltre a persistere i problemi finanziari succitati, infatti, la corruzione e la brama di arricchirsi che divampava tra le famiglie boiare suscitò la ribellione del popolo, schiacciato dalle tasse sempre maggiori. Nel maggio del 1648 diverse rivolte scoppiarono a Mosca, Novgorod e Pskov, dove si proclamava la libertà dal giogo di funzionari e proprietari terrieri.
Nel gestire la crisi interna che divampava, il governo non si limitò a riportare ordine con la forza, ma lavorò per migliorare l’amministrazione e la giustizia, promulgando nel 1649 un nuovo codice, l’Ulozenie che rimase in vigore fino al 1835, e che placò gli animi dei sudditi.
Alla morte di Alessio nel 1676 il figlio del primo matrimonio, Teodoro III, ereditò il trono moscovita, ma il suo regno fu di brevissima durata, concludendosi già nel 1682.
È con il fratellastro di Pietro il Grande che si vide l’abolizione del mestničestvo come sistema di nomina governativa tra le famiglie nobiliari, rendendo così possibile le riforme del governo e dello stato attuate dal Grande.
Entrando più a fondo nell’effettiva struttura ereditata da Pietro I, bisogna soffermarsi sulla condizione di servaggio della gleba: il lavoro servile costituiva un ruolo centrale nell’economia russa dell’epoca, dal momento che sosteneva la piccola nobiltà, funzionaria dello zar.
Seppure nessuna legge istituì ufficialmente la servitù della gleba è vero anche che molti provvedimenti la promossero, come l’usanza del sovrano di concedere contadini ai propri servitori, e in particolare il neo-codice legale del 1649, che considerava servi tutti i coltivatori di terre appartenenti a privati, in un contesto in cui, fin dai tempi della Rus’ di Kiev, i contadini avevano sempre contratto una dipendenza economica dal proprietario terriero di turno.
Se può definirsi una classe media nel periodo storico e luogo presi in considerazione, sarebbe da individuare nella popolazione delle città, suddivisa in mercanti e artigiani, i più colpiti dalle imposte che esigeva il governo.
La classe superiore era chiaramente popolata dai proprietari terrieri, seppure riportasse ulteriori differenziazioni di estrazione sociale al suo interno.
Nel campo istituzionale invece, i primi zar Romanov continuarono ad accrescere la caratteristica autocratica del proprio dominio. Infatti, nonostante la presenza della duma boiara i sovrani tesero a denaturarla, aumentando sempre di più le componenti meno aristocratiche e più propriamente burocratiche. Inoltre, l’assemblea costituiva un organo puramente consultivo che non aveva alcun potere nel limitare le prerogative e i poteri dell’autocrate.
Lo stesso discorso fatto per la duma potrebbe farsi anche per ciò che concerne il ruolo dello zemksij sobor, l’assemblea di rappresentanza mista costituitasi in occasione della nomina di un nuovo zar alla fine degli anni dei torbidi. Tale organo era convocato sporadicamente dal sovrano e solo in occasione di discussioni su temi particolarmente delicati ed importanti, e anche in questo caso non deteneva alcun potere.
È quindi chiaro che quegli anni non possono essere letti alla luce del modello moderno di suddivisione dei poteri, ma è significativo come proprio la scelta di portare avanti un modello di monarchia assoluta ed autocratica sarà il motivo della caduta dell’impero.
Ma per spiegarci i motivi per cui si instaurò un tale assetto, bisogna ricorrere alla significativa estensione dello stato moscovita. Nei casi di domini particolarmente estesi sono due le formule governative che si adottano solitamente: una divisione dei poteri piramidale attraverso la nomina di governatori provinciali, o una forte centralizzazione dei poteri e del controllo in un unico centro. Chiaramente, fu la seconda strada che venne percorsa, come accadrà più volte nella storia russa, ma in questa occasione la centralizzazione avvenne in maniera disorganizzata senza un’idea lungimirante di fondo, che comportò una confusa divisione sociale.
Partendo da questo contesto, emerge in maniera dirompente il carattere di rottura e innovazione delle riforme attuate da Pietro il Grande, che seppur mantenne il carattere assoluto del potere zarista, definì con maggiore chiarezza i ruoli delle parti sociali.