Ivan Krastev dirige il “Centro per le strategie liberali” di Sofia. Nel capitolo “La crisi dei migranti, ovvero: perché la storia non è finita?” del suo studio dal tono apocalittico si interroga sul peso delle migrazioni nella prospettiva della crisi della Ue: “Sfidata da nazionalisti e populisti, divisa su questioni cruciali come la crisi migratoria, contestata nei suoi principi fondativi (democrazia liberale, libera circolazione di beni e persone), l’Unione è chiamata a rispondere alla minaccia esistenziale che si trova ad affrontare”.
«Poco più di un quarto di secolo fa, nel 1989 – l’annus mirabilis che vide i tedeschi riunirsi sulle macerie del muro di Berlino, e che oggi sembra lontanissimo –, un intellettuale e ufficiale del dipartimento di Stato americano colse in pieno lo spirito del tempo: con la conclusione della guerra fredda, scrisse Francis Fukuyama, tutti i principali conflitti ideologici erano risolti. La contesa era finita, e la storia aveva un vincitore: la democrazia liberale occidentale (…). “Lo Stato che emerge alla fine della storia è uno Stato liberale,” insisteva Fukuyama “fintanto che riconosce il diritto universale dell’uomo alla libertà e lo protegge con un sistema di legge, e democratico fintanto che esiste solo grazie al consenso di chi è governato”. Il modello occidentale era la scelta ideale – e anche l’unica possibile (…).
Per capire l’attuale crisi dell’UE, dobbiamo riconoscere che il progetto europeo, oggi, è intellettualmente radicato nell’idea della “fine della storia.” L’Unione Europea è la scommessa altamente rischiosa che il genere umano continuerà a progredire procedendo nella direzione di una società più democratica e tollerante. In un contesto ideologico ispirato dalla panacea liberale del miglioramento umano, la crisi dei migranti costringe a mettere ogni cosa in discussione. La crisi dei migranti è una crisi radicale, non perché ci chiede risposte differenti alle domande già poste nel 1989, ma perché cambia le domande stesse. Il terreno intellettuale su cui ci muoviamo oggi è del tutto mutato rispetto a un quarto di secolo fa (…).
L’inizio della trasformazione di internet in un fenomeno di massa ebbe una profonda influenza sull’impazienza dell’Occidente di confermare la visione del futuro di Fukuyama. La fine del comunismo e la nascita del web sembravano andare di pari passo, nel senso che la fine della storia esigeva che qualcosa di simile avvenisse in ambito politico e istituzionale, e al tempo stesso stimolava l’innovazione in campo tecnologico e nella vita sociale (…). Fukuyama immaginava un mercato globale dove idee, capitale e merci avrebbero avuto libera circolazione, mentre le persone se ne sarebbero state a casa loro a democratizzare le rispettive società. Lo stesso termine migrazione, con la relativa immagine di grandi masse che attraversano i confini nazionali, era del tutto assente nel racconto di Fukuyama. Secondo lui, la cosa fondamentale era che le idee viaggiassero indisturbate. Le idee globali, a suo parere, avrebbero avuto la libertà di attraversare i confini: di conseguenza, una visione liberale delle cose avrebbe conquistato tutti.
È proprio questa visione del mondo a essere, oggi, in caduta libera (…), il problema è come gli ultimi tre decenni abbiamo trasformato l’Occidente stesso, e come la sua ambizione di esportare i propri valori e le proprie istituzioni abbia avuto come risultato una profonda crisi di identità nelle società occidentali. Il fatto che tantissimi europei considerino il flusso dei migranti come segno del fallimento della democrazia è sintomatico: solo una radicale reinterpretazione degli effetti indesiderati avuti dalla guerra fredda può aiutare a comprendere perché oggi i populisti arrabbiati vincano le elezioni in tutto il mondo occidentale, e perché la nozione liberale di tolleranza, è oggi vista come il nemico del popolo.»
Ivan Krastev, Gli ultimi giorni dell’Unione. Sulla disintegrazione europea.