Qual è oggi il ruolo e la natura dei Gabinetti e quali sono le loro funzioni istituzionali ed informali? Essi collaborano e supportano fiduciariamente il vertice politico, esercitando compiti di coordinamento e raccordo tra la sfera dell’indirizzo e controllo e quella della gestione amministrativa, in modo da costituire la cerniera ed il filtro tra il ceto di governo e l’alta burocrazia (direttori generali), con una sembianza “double face”, occupando uno spazio strategico di interfaccia tra i due ambiti.
Dal punto di vista giuridico i vertici degli uffici di diretta collaborazione sono oggetto di incarichi temporanei e la nomina è strettamente fiduciaria e rientra nella piena discrezionalità dell’organo politico, non richiedendosi particolari requisiti formali, mentre sotto il profilo organizzativo questi apparati si collocano al di fuori ed a latere dell’organizzazione burocratica.
Qual è il risultato dell’evoluzione recente? Oggi i Gabinetti e le strutture collegate hanno assunto un ruolo sempre più dilatato e pervasivo rispetto a quello originariamente configurato dalla scarna normativa di riferimento e soprattutto dalle prassi, padroneggiando – con speciali attitudini e competenze – materie molto diverse tra loro e su uno spettro amplissimo di relazioni esterne, così da divenire di fatto i gestori delle più insidiose problematiche e responsabilità, soprattutto in funzione di garanzia e tutela funzionale dell’organo di vertice.
Negli ultimi decenni, il personale “gabinettista” si è incrementato a dismisura nel numero e nelle qualifiche, anche con benefici retributivi e di carriera, ed i Capi di Gabinetto e degli uffici legislativi, spesso anche i loro vice (uno o più), provengono prevalentemente – quasi sempre collocati in posizione di fuori ruolo – dalle fila del Consiglio di Stato (o della magistratura amministrativa comprensiva anche dei TAR), della Corte dei Conti, dell’Avvocatura dello Stato e, con minore frequenza, della magistratura ordinaria o anche, più recentemente, dall’alta burocrazia parlamentare o, in qualche caso, professori universitari o alti dirigenti pubblici (primi fra tutti in passato prefetti, ambasciatori, generali, ecc.), alimentandosi così una nutrita serie di percorsi di carriera “paralleli” rispetto a quelli maturati ordinariamente negli istituti di provenienza.
Perché nella direzione dei gabinetti ministeriali emergono quasi sempre élite di provenienza esterna? Sostanzialmente per due ragioni: la prima è che si tratta di elevate professionalità a competenza generale e versatile, dotate di ampia preparazione giuridico-istituzionale, con una profonda e sperimentata conoscenza della macchina amministrativa, ritenute più solide e strutturate rispetto a quelle mediamente reperibili nell’ambito della dirigenza ministeriale, depotenziata anche dall’improvvido meccanismo dello “spoils system”. In secondo luogo si presume che queste personalità – per la loro speciale formazione e provenienza- aggiungano un utilissimo “quid pluris” di autorevolezza, prestigio relazionale e capacità di proiezione esterna che facilita l’esercizio delle funzioni di alta amministrazione, pur con la riserva per i magistrati di qualche potenziale ed indiretto conflitto di interessi o anche solo di opportunità – periodicamente sollevata dai critici di tale consuetudine – tra le funzioni di controllori e controllati, oltre al discutibile fenomeno di “carriere parallele” costruite su una infinita serie di incarichi “extra ordinem” (a cui recentemente si è tentato di porre freno introducendosi per legge l’obbligo di fuori ruolo con il limite massimo di dieci anni).
Tale prassi, sempre più consolidata ed oggi in espansione anche negli enti territoriali (Regioni e grandi comuni), registra alcune costanti e radicate eccezioni da parte di pochissime amministrazioni ministeriali – di particolare tradizione qualitativa o di speciale settorialità- che conservano gelosamente e meritoriamente la prerogativa consuetudinaria di esprimere nel proprio seno gli incarichi di Capi di gabinetto e del legislativo. Si tratta del Ministero degli Affari Esteri, che si avvale nei ruoli apicali di ambasciatori e dirigenti diplomatici, presenti in diverse altre strutture del Governo (oggi anche con la figura dei consiglieri diplomatici); del Ministero dell’Interno, con i Prefetti che ricoprono sempre gli incarichi di capi di gabinetto e del legislativo nella loro amministrazione, ma sono spesso impegnati anche fuori dal Viminale in importanti posizioni di fuori ruolo (in passato come capi di gabinetto della Presidenza del Consiglio ed altri ministeri o amministrazioni). Ancora, per cementata prassi, non ammettono vertici di provenienza esterna il Ministero della Difesa, in cui generali ed ammiragli più alti in grado ricoprono i ruoli apicali dei Gabinetti, oltre a concorrere alle altre strutture governative (tra l’altro con il ruolo del consigliere militare presso la Presidenza del Consiglio) e il Ministero della Giustizia, governato dai magistrati di cassazione che da sempre e senza eccezioni dirigono gli uffici di gabinetto e del legislativo di via Arenula, discutibilmente preposti anche all’esercizio delle principali funzioni dirigenziali nell’ambito dello stesso dicastero (e, non infrequentemente, in altri gabinetti ministeriali).
Chi è il Capo di Gabinetto come configurato nella sua linea evolutiva e quale concreta fisionomia ha assunto nella prassi odierna? Nelle amministrazioni a direzione politica più rilevanti, il Capo di Gabinetto costituisce un punto di snodo essenziale per saldare e veicolare gli indirizzi di governo all’articolata e problematica sfera di esecuzione, affidata alla competenza delle alte e medie strutture burocratiche (direzioni generali e divisioni intermedie). Egli orienta e supervisiona, pur senza interferire in modo diretto nella gestione, la impostazione e soluzione di quei grandi e piccoli problemi politico-amministrativi, procedurali, organizzativi, protocollari che l’attività esecutiva propone con sempre nuove e delicate questioni nella concreta quotidianità. Naturalmente il potere e la credibilità dei gabinetti rispetto alle altre strutture ministeriali si misurano in stretta correlazione all’autorevolezza ed al prestigio o meno del ministro o del vertice politico di riferimento.
Il ruolo del “gabinettista professionale”, di natura fiduciaria che – nonostante questa insuperabile caratteristica – viene talvolta confermato pur in presenza di avvicendamenti e cambi politici, richiede attitudini e dedizione peculiari, una instancabile capacità organizzativa e di lavoro ed il possesso di una speciale “forma mentis”, con virtù manageriali ed una professionalità “sui generis”, sostanziata di capacità di coordinamento e prontezza di valutazione rispetto ad esigenze di intervento che si propongono al decisore ed ai suoi collaboratori spesso in modo urgente e sensibile. Il capo gabinetto, con adeguata competenza amministrativa ma anche con spiccate capacità psicologiche e diplomatiche e memoria possente, deve saper trasporre indirizzi e direttive dal livello di vertice a quello esecutivo-gestionale e, in senso inverso, sintetizzare e riportare i principali profili settoriali dell’azione burocratica verso l’alto, filtrandoli e sottoponendoli – previa adeguata e rapida istruttoria- alla valutazione decisionale dell’organo politico, a cui per definizione spetta sempre l’ultima parola.
Il dirigente gabinettista non è espressione politica né propriamente amministrativa ma deve concorrere all’una ed all’altra funzione in modo bidimensionale, come collante insostituibile tra l’indirizzo politico e la sua attuazione gestionale e quindi albero di trasmissione dell’intera struttura oltre che riferimento obbligato per tutti i principali uffici della stessa amministrazione. Il Capo di gabinetto, con piena conoscenza di fatti e situazioni, di nomine e procedimenti, deve saper dominare e sintetizzare i fascicoli e le fattispecie più disparate, mediare le frequenti conflittualità, facilitare le relazioni esterne con le strutture omologhe, gestire le negoziazioni, risolvere le grane, coordinare i rapporti orizzontali e verticali – come centro propulsore e supervisore- trasmettendo fiducia e sicurezza di risposte sia ai dirigenti sottordinati che al vertice sovraordinato.
(continua)