Chris Wickham, medievista, professore emerito presso le università di Birmingham e di Oxford, introduce con un riferimento alla “normalità quotidiana della violenza” il capitolo su “La forza dell’impero” del suo studio sulla permanenza dell’eredità di Roma nei secoli del medioevo e della successiva età moderna.
«“Il ladro colpevole viene tradotto in giudizio e interrogato come merita; viene torturato sotto i colpi del boia, viene ferito al petto, appeso per le braccia… viene fustigato e frustato, passa attraverso un’intera serie di torture, e tuttavia nega. Dev’essere punito; viene passato a fil di spada. Viene poi tradotto in giudizio un altro individuo, innocente, il quale può contare su un’efficace rete clientelare: lo accompagnano uomini dalla fine eloquenza. Costui ha fortuna: viene assolto.”
Quello appena citato è un estratto di un abbecedario greco-latino per ragazzi, probabilmente dell’inizio del IV secolo. In esso si fanno evidenti, grazie alla linearità del testo, alcuni degli incontestati presupposti del tardo impero romano. La violenza giudiziaria era normale – meglio, meritata (in effetti, persino i testimoni venivano solitamente torturati, a meno che non appartenessero all’élite); e il ricco la passava liscia. Il mondo romano era abituato alla violenza ed all’ingiustizia. I giochi circensi degli inizi dell’impero, nonostante fossero stati banditi dall’imperatore Costantino nel 326 per influsso del cristianesimo, erano ancora in auge nell’Occidente del IV secolo. Nel decennio 380-90 Alipio, futuro vescovo di Cartagine di forte impronta ascetica, assistette ai giochi a Roma, condottovi da amici contro la sua volontà; durante lo spettacolo tenne gli occhi chiusi, ma il ruggito della folla al ferimento di un gladiatore lo forzò ad aprirli, e venne allora afferrato dal sangue, “ormai solo uno tra i tanti”, come ebbe ad esprimersi con comprensione il suo amico, il grande teologo Agostino di Ippona (m. 430). Agostino, uomo intransigente ma non ingenuo, dava per scontato che il piacere del sangue, per quanto immorale ad occhi cristiani, fosse normale. In effetti, tutte le società post-romane, pagane, cristiane o musulmane, erano ugualmente aduse alla violenza, in particolare da parte dei potenti; ma nell’impero romano essa godeva, in quanto elemento di spettacolo settimanale, di una legittimazione pubblica superiore finanche alla cultura dell’esecuzione pubblica nell’Europa del XVIII secolo. Il potere romano aveva in sé qualcosa di profondamente viscerale; anche dopo la fine dei combattimenti dei gladiatori all’inizio del V secolo, l’uccisione pubblica di bestie feroci proseguì per più di un secolo.»
Chris Wickham, L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 1000 d.C.