«A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali». Queste le parole del Papa, come riportate da “Avvenire”, contenute nel suo libro “La speranza non delude mai” (Piemme). Non è il solo a pensarla così. Per tutti, l’Onu.
Ma cosa significa precisamente la parola genocidio?
Il termine fu coniato nel 1944 dall’avvocato Ebreo Polacco Raphael Lemkin, prendendo spunto dallo sterminio degli Armeni consumato dall’Impero Ottomano nel 1915-16.
Nel 1945 il Tribunale di Norimberga inserì il termine genocidio nel suo atto d’accusa ai gerarchi nazisti, pur non avendo ancora valore legale.
Nel 1948 le Nazioni Unite, nella Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio, lo definiscono così:
Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
(a) uccisione di membri del gruppo;
(b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
Questa definizione è stata recepita, a Roma nel 1998, dallo Statuto della Corte penale internazionale. Presso la quale è attualmente già in corso un procedimento per accertare le reali, eventuali, responsabilità dello Stato di Israele accusato appunto di genocidio.
Secondo il National Geographic: “Anche se la legge è chiara rispetto a ciò che costituisce un genocidio, i suoi detrattori sostengono che gli standard legali per questo atto sono così specifici da non essere quasi mai applicabili alle uccisioni di massa o alle azioni brutali perpetrate ai danni di un gruppo”.