Sì, il rischio è reale.
Chi l’ha detto che la nostra democrazia sia irreversibile? Dal Capo dello Stato all’ultimo consigliere di circoscrizione sentiamo ripetere spesso che la nostra democrazia è solida, non a rischio di eversione. Ma lo dicono appunto quanti fanno parte della classe dirigente e della classe politica, non il ‘popolo’.
Se limitiamo il nostro orizzonte all’emiciclo parlamentare la democrazia ci appare salda. Da Salvini a Fratoianni non ci sono politici ‘nazionali’ che tramino contro la democrazia. Per ora.
Ma la sensazione è che il popolo cominci a sentirsi stanco della sua libertà. A desiderare l’uomo forte, quello che ristabilisca la supremazia dell’uomo bianco dell’Occidente e, con essa, la sua sproporzionata opulenza rispetto al resto del mondo. In questo senso l’esito delle elezioni USA è eloquente.
Il problema non è se Trump sia un fascista o non lo sia. Di certo è una personalità autoritaria, ai sensi della celebre delimitazione del concetto da parte di Adorno e Horkheimer. Ma il tycoon potrebbe ben essere una personalità autoritaria e non fascista. Ce ne sono state tante nella storia e ce ne sono oggi in giro nel mondo. Si dà il fascismo quando una tale personalità si incontra con un popolo che la ricerca. Quando classi sociali che si sentono a rischio di declassamento sociale e che vivono nell’insicurezza vanno alla ricerca dell’uomo forte, che restituisca loro lo status perduto e la sicurezza. Ad esempio oggi, con le classi piccolo-borghesi ed anche operaie e sottoproletarie dell’Occidente, che si sentono minacciate dagli immigrati, ai quali addebitano assieme il relativo impoverimento che le sta colpendo e le condizioni di insicurezza urbana proprie dei nostri tempi.
Ora, al di là delle sue riposte convinzioni personali, Donald Trump ha dato di sé – e non solo nell’ultima campagna elettorale – l’immagine di un fascista. E questa è la percezione che ne hanno avuto gli elettori americani. Immagine e percezione paradossalmente rafforzate dall’esplicita accusa rivoltagli dalla sua antagonista, Kamala Harris e dai dem in genere, di essere appunto un fascista.
Additato e percepito come un fascista, ha stravinto le elezioni!
Dunque il problema non è Trump, ma la maggioranza degli Americani che hanno votato per uno in odore di fascismo. Voti che lui ha ricercato con lucido cinismo.
Vediamo la sua ‘promessa’ agli elettori.
Sovranismo, ma meglio sarebbe dire nazionalismo; populismo; ostentazione di aggressività; tradizionalismo; livore contro la scienza e la cultura – ricordate quel ‘Quando sento parlate di cultura metto mano alla pistola’ di Joseph Goebbels? -; insofferenza per le regole democratiche; suprematismo razziale e nazionale; negazionismo climatico e di genere; indifferenza alle determinazioni delle conferenze internazionali; indisponibilità alle mediazioni. Cosa manca per farne un aspirante Führer dei giorni nostri?
Certo, non è fascismo tal quale a quello del secolo scorso, né potrebbe esserlo, ma vi rassomiglia parecchio. E ricordiamoci che sia Mussolini, sia Hitler, arrivarono al governo col consenso maggioritario degli elettori. Salvo poi abolire quella stessa democrazia grazie alla quale erano saliti al potere.
Il pericolo di una nuova dittatura c’è, non giriamoci attorno. E non solo negli USA. In Europa è per lo meno da un ventennio che, inizialmente in sordina, poi in crescendo, spuntano come funghi movimenti populisti e nazionalisti, spesso dichiaratamente richiamantisi al fascismo. Ed ormai i populismi sono al governo in molti Stati dell’Occidente. Alle soglie del governo in altri; nel Centro Europa soprattutto. Al punto che, al cospetto, oggi anche il nostro governo Meloni sembra moderato. E lo è anche. Almeno fin quando la premier non annuserà l’aria che tira e non ritornerà a rincorrere il populismo più radicale.
Molti democratici – conservatori di destra, moderati di centro e progressisti di sinistra – hanno percepito il rischio. Si chiedono cosa si possa fare per difendere le libertà democratiche. Ce lo chiediamo anche noi.
Rincorrere i populismi ed inveire contro le élite e i ‘salotti’ woke per ottenere più consensi nelle urne? Significherebbe portare altra acqua al mulino del neo-fascismo.
Fare appello ai valori dei nostri padri costituenti? Parole. Parole che sulle menti e sui cuori delle classi sociali medio-basse e dei giovani scivolano via come la pioggia sugli impermeabili. Soprattutto su menti e cuori dei giovani, senza più memoria e senza visione del futuro, che non sia il loro individuale, particulare.
Attrezzarsi per contrastare colpo su colpo nelle piazze l’avanzata del populismo? Necessario, utile, ma anche ad oggi perdente. Chi è oggi pronto a tanto se non una minoranza animata più da ideologie antagoniste che da genuini valori democratici?
Fare una intransigente battaglia parlamentare contro le misure che giorno dopo giorno stanno restringendo gli spazi di libertà e aprendo la strada al fascismo? Doveroso, non risolutivo. Buona a rallentare la deriva, non a fermarla.
Confesso, non trovo la risposta. Né la trovo nei tanti che stanno intervenendo sul tema con sinceri intenti democratici. Analisi e proposte sofisticate e a volte saccenti, quante ne volete. Altre volte attivistiche e movimentiste. Altre contemplative. Ma tutte poco più che acqua mestata nel mortaio.