Il 7 novembre 1917 (25 ottobre, secondo il calendario giuliano) il popolo russo guidato dai bolscevichi del “Partito Operaio Socialdemocratico Russo (bolscevico)” assale il “Palazzo d’Inverno” a Pietrogrado e dà l’avvio alla “Rivoluzione d’ottobre”. L’articolo “La Rivoluzione contro il Capitale”, pubblicato sull’”Avanti” il 24 novembre 1917 e su “Il Grido del Popolo” il 5 gennaio 1918, è la prima riflessione del giovane Antonio Gramsci sull’evento che avrebbe caratterizzato il Novecento.
«La rivoluzione dei bolscevichi si è definitivamente innestata nella rivoluzione generale del popolo russo. I massimalisti (i bolscevichi, ndr) che erano stati fino a due mesi fa il fermento necessario perché gli avvenimenti non stagnassero, perché la corsa verso il futuro non si fermasse, dando luogo ad una forma definitiva di assestamento – che sarebbe stato un assestamento borghese, – si sono impadroniti del potere, hanno stabilito la loro dittatura, e stanno elaborando le forme socialiste su cui la rivoluzione dovrà finalmente adagiarsi per continuare a svilupparsi armonicamente, senza troppi grandi urti, partendo dalle grandi conquiste già realizzate.
La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologie più che di fatti. (…). Essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico.
(…) Eppure c’è una fatalità anche in questi avvenimenti, e se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente vivificatore. Essi non sono “marxisti”, ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche. E questo pensiero pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma la società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell’economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che vive, e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebollizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace.»
Antonio Gramsci, La Rivoluzione contro il Capitale.