fbpx
Home In Italia e nel mondo Donald Trump e gli enemies within

Donald Trump e gli enemies within

le contraddizioni del candidato Repubblicano

by Guido Mondino
0 comment

Non era ancora eletto, che già prometteva un’inchiesta penale su Hillary Clinton. I suoi seguaci, nel 2016, scandivano lo slogan del condottiero: “Imprigionatela”. Con grande nonchalance, oggi Donald Trump nega di aver mai espresso quel concetto, nonostante molteplici video lo inchiodino. Nell’attuale ciclo elettorale, prima del quale è stato riconosciuto colpevole di truffa, Trump ribadisce che “Se eletto darà il via a una serie di inchieste penali contro i suoi avversari, «in primis la famiglia criminale dei Biden»”.  La lista degli oppositori, siano essi politici, procuratori, burocrati, giornalisti – insomma, gli enemies within (nemici interni) come li definisce lui – è pressocché infinita. Addirittura, nei suoi recenti comizi ha dichiarato di voler perseguire Obama e Clinton per spionaggio. Sic!

La domanda è: potrebbe davvero Trump scatenare inchieste penali per vendetta politica? In realtà lo ha già fatto, e più volte. Durante la sua prima presidenza, The Donald ripeteva senza sosta che si doveva investigare a fondo sui burocrati corrotti, sui “traditori” del FBI, su Obama, sui due Clinton e via cantando.  Non era retorica e, infatti, passò rapidamente all’azione.

L’ex-direttore del FBI, James Comey, il quale si era opposto all’inchiesta su Hillary Clinton, rifiutando altresì di inchinarsi alla «lealtà» esatta dal Presidente, fu indagato per «fuga di notizie riservate». Ma non essendo l’accusa corroborata da elementi probanti, contro Comey fu allora lanciata la macchina tritatutto dell’IRS (il fisco americano). Anche qui nulla: non solo non furono trovate tracce di evasione, ma si scoprì che Mr. Comey aveva pagato tasse in eccesso e che lo Stato gli doveva congruo rimborso. In quella circostanza, Trump aveva esercitato enormi pressioni sul Procuratore Generale, Jeff Sessions, affinché fossero depositate le accuse di tradimento: “Altrimenti, lo farò io stesso” aveva tuonato. Un consigliere della Casa Bianca, di fede repubblicana, scrisse una nota di servizio spiegando al Presidente il limite dei suoi poteri, tra cui l’impossibilità di immischiarsi in affari di diritto penale. I membri dello Staff capirono immediatamente il rischio che correvano qualora avessero cooperato alla strumentalizzazione della Giustizia per una qualsivoglia «spedizione punitiva». Per evitare di essere considerati complici di un possibile reato, iniziarono a documentare le proprie azioni facendo uscire dalla Casa Bianca copie dei documenti nei quali provavano la loro posizione. Se oggi Trump accusa il sistema politico-giudiziario americano di una “caccia alle streghe” nei suoi confronti, forse occorrerebbe ricordare che lui per primo iniziò la ricerca di inesistenti fattucchiere.

James Comey – e altri tre dirigenti del FBI (McCabe, Rybicki e Baker) che avevano investigato sull’intrusione di Mosca nelle elezioni del 2016, e sul ruolo di Michael Flynn (assistente di Trump per la Sicurezza Nazionale) in tale vicenda – se la cavarono senza conseguenze legali, ma persero il lavoro dopo aver sborsato, in toto, quasi due milioni di dollari in spese legali. Hillary Clinton subì lunghi interrogatori su una serie di teorie complottiste che Trump aveva fatto circolare: alla fine, per ovvia mancanza di prove, ogni accusa cadde nel nulla. In seguito, John Kerry, ex Segretario di Stato sotto la presidenza Obama, fu «sospettato di oscuri contatti» con alcuni diplomatici iraniani: il Procuratore Generale Bill Barr, assai più compiacente con la Casa Bianca del suo predecessore Jeff Sessions, tentò di convincere un procuratore federale a procedere con il dossier. Fortunatamente invano. Ci sono altri sei casi simili in cui la “forza del Potere” e la minaccia vennero utilizzati da Trump, come quando chiamò (telefonata registrata e pubblicata) Brad Raffensperger – Segretario di Stato della Georgia – per convincerlo a trovare 11.780 voti al fine di capovolgere il risultato delle urne del 2020.

Il secondo mandato sarà molto differente. Lo preconizza il «Project 2025», un vero e proprio piano di vendetta. Questo documento, di ben 900 pagine, non appartiene al GOP ma è la mappa stradale del gruppo ultraconservatore The Heritage Foundation. Dopo averlo a lungo vantato ed esaltato, recentemente Trump lo ha disconosciuto. Fece lo stesso quando negò di aver acceso la sommossa del 6 gennaio 2021 con il suo “Stay behind” ai rivoltosi. Project 2025 è, a dir poco, allarmante: nonostante i sondaggi confermino il rigetto delle idee ivi contenute da parte della maggioranza degli elettori, e per quanto sarebbe politicamente suicida per il GOP (e per il Congresso) seguire Trump verso frontiere inesplorate, la storia ci insegna che, una volta al potere, questo genere di personaggi può sovvertire qualsiasi ordine preesistente e trasformarlo in dittatura.

Nel Project 2025, il capitolo sulla Giustizia – probabilmente il più pericoloso di tutti – pare scritto dallo stesso Trump. Vi si rilancia la necessità di aprire indagini a tappeto sul FBI (e altri) che costituirebbe una chiara ingerenza della Presidenza negli «affari penali». Il documento propone di perseguire tutti i procuratori che «rifiutino di applicare la legge» (eufemismo per indicare le direttive della Casa Bianca), che poi è esattamente ciò di cui il Trump accusa i procuratori di aver fatto durante il suo primo mandato, allorché gli risposero che in una democrazia non vi è spazio giuridico per perseguire penalmente gli avversari politici. Il documento illustra anche come prendere il controllo politico delle nomine nel Dipartimento di Giustizia, trasformandolo nel braccio armato dell’Esecutivo.

Il rischio trova fondamento nella decisione della Corte Suprema 23-939 del 1° luglio 2024 (sei giudici su nove sono di fede repubblicana, di cui tre nominati durante il primo mandato di Trump), nella quale si riconosce l’immunità del Presidente. Infatti, nella suddetta sentenza si legge che: “i tentativi del Presidente di rimuovere alcune persone del Dipartimento di Giustizia che ostacolano i disegni governativi fanno parte delle funzioni presidenziali, le quali sono coperte da immunità”.  Voilà.

Dunque, le intenzioni di Donald Trump nei confronti degli “enemies within” sono esplicitamente dichiarate; il piano per sradicare ogni barriera alla sua volontà è già stampato; l’Amministrazione (in senso lato) sarà capillarmente imbottita di fedelissimi yes men, e non più da possibili controllori con la costituzione in una mano e il Codice penale nell’altra; se eletto, per Trump non vi sarebbe più alcun ostacolo costituzionale che gli impedisca di prendere il controllo del Dipartimento di Giustizia.

Ma, ripeto, tutto ciò se Trump verrà eletto. A molti elettori americani di certo non sfuggono le contraddizioni del candidato Repubblicano. Per questioni si spazio, ne cito solo alcune:

1) Il progetto di “deportare quattordici milioni di immigrati che sono tutti criminali” (testuali parole). Ma Trump ha sposato un’immigrata slovena, mentre il suo nuovo supporter, Elon Musk, è immigrato dal Sud Africa. In un comizio, Musk la settimana scorsa ha ribadito il suo sostegno al secondo amendamento della Costituzione americana, ossia il diritto dei cittadini a possedere armi. L’argomento degli immigrati pericolosi si commenta da solo…

2) L’intento di interdire l’aborto in tutti gli Stati, come espresso nel Project 2025. Tuttavia, Trump si è più volte vantato di poter “prendere le donne per i genitali” senza rischiare nulla. Sic!

3) Il proposito di aumentare i dazi sulle importazioni fino al 100%, il ché causerebbe un’inflazione vertiginosa e strozzerebbe la promessa elettorale “eliminerò l’inflazione” (testuali parole). Di più: deportando gli immigrati, come minaccia, toglierebbe all’industria mano d’opera a minor costo, innescando ulteriormente il processo inflazionistico.

4) Ha esattamente la stessa età di Biden nel 2020, allorché Trump lo definiva “troppo vecchio per la presidenza”.

5) La riforma della United States Agency for Global Media (USAGM), prospettata nel capitolo 8 del Project 2025, una manovra tesa a imbavagliare media e giornalisti, nonché a creare una gigantesca «fake news machine». Zittire il cosiddetto quarto potere, di fatto eliminando l’opinione pubblica dissenziente e manipolando l’informazione, è esattamente ciò che accade nelle dittature (o false democrazie) come Russia, Cina e altri paesi del pianeta.

6) Un Presidente il quale ha definito i morti in guerra dei “perdenti” e che è poi perfino riuscito a recare oltraggio al cimitero militare di Arlington, un santuario per la bandiera a stelle e strisce.

Occorre crederci. Bisogna sperare in un’affluenza compatta degli elettori democratici e, ancor più, nel buon senso dei moltissimi repubblicani moderati. La risposta l’avremo la sera di martedì 5 novembre.