Vent’anni fa Philip Roth scrive un allarmante romanzo fantapolitico in cui un candidato repubblicano antisemita e simpatizzante della Germania nazista, nel 1940, vince le primarie del partito e batte alle elezioni il presidente in carica, Franklin D. Roosevelt. Il nuovo presidente è il famoso Charles A. Lindbergh, eroe dell’aviazione e trasvolatore dell’Atlantico. È il portavoce di “America First Commitee” e un isolazionista che accusa gli ebrei di essere un gruppo di potere che cospira per spingere l’America in una guerra che non la riguarda.
«Era il 12 ottobre (1942, ndr), lunedì, e durante la cena avevamo sentito alla radio le notizie dei disordini che erano scoppiati nel Midwest e nel Sud in seguito all’annuncio dell’intelligence britannica che il presidente Lindbergh era ammarato intenzionalmente a trecento miglia dalla costa e da là era stato condotto dalla marina e dall’aviazione della Germania nazista a un appuntamento segreto con Hitler. Soltanto l’indomani i giornali del mattino furono in grado di fornire i dettagli dei disordini innescati da questo dispaccio, anche se appena qualche minuto dopo che la notizia ci ebbe raggiunto al tavolo della cucina mia madre aveva già indovinato correttamente chi quei facinorosi avevano scelto come obiettivo e perché. Erano passati tre giorni da quando era stato chiuso il confine col Canada, e anche a me, che trovavo una prospettiva insopportabile lasciare l’America, era chiaro che il rifiuto di mio padre di dare ascolto a mia madre e lasciare il paese qualche mese prima era stato l’errore più grande che avesse mai fatto. Lui adesso aveva ripreso a lavorare di notte al mercato, mia madre usciva tutti i giorni a fare la spesa – donchisciottescamente un pomeriggio a scuola aveva partecipato a una riunione per i futuri scrutatori di seggio alle elezioni di novembre -, Sandy e io andavamo a scuola ogni mattina con i nostri amici, ma ciononostante all’inizio della seconda settimana dell’amministrazione del presidente ad interim Wheeler la paura era dappertutto, e questo a dispetto del consiglio della signora Lindbergh di non badare alle notizie provenienti da paesi stranieri sul luogo dove poteva trovarsi il presidente, e a dispetto dell’importanza mediatica raggiunta dal rabbino Bengelsdorf, ormai entrato a far parte della nostra famiglia, zio acquisito che un giorno aveva persino mangiato a casa nostra, ma non poteva fare niente per aiutarci e che anche se poteva non l’avrebbe fatto a causa del disprezzo che nutrivano reciprocamente lui e mio padre. La paura era dappertutto, e dappertutto era l’espressione, specie negli occhi dei nostri protettori, l’espressione che ti viene una frazione di secondo dopo aver chiuso la porta ed esserti reso conto che non hai la chiave. Non avevamo mai visto gli adulti pensare tutti, smarriti, gli stessi pensieri. I più forti tra loro facevano del loro meglio per stare calmi e non perdersi di coraggio e avere un tono realistico quando ci dicevano che presto le nostre pene sarebbero finite e la vita avrebbe ripreso regolarmente il suo ciclo, ma quando accendevano la radio per ascoltare il giornale erano devastati dalla rapidità con cui tutte quelle cose terribili stavano accadendo.»
Philip Roth, Il complotto contro l’America (Cap.9, Eterna paura).