Così inizia il secondo capitolo, “Del pentirsi”, dei “Saggi” di Montaigne, che apre ad una visione del tutto nuova e moderna del soggetto e del mondo, e prospetta l’assunzione dell’altro nell’io. A partire da sé stesso.
«Gli altri formano l’uomo. Io lo descrivo, e ne rappresento un esemplare assai mal formato, e tale che se dovessi modellarlo di nuovo lo farei in verità molto diverso da quello che è. Ma ormai è fatto. Ora, i tratti della mia pittura sono sempre fedeli, benché cambino e varino. Il mondo non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano senza posa: la terra, le rocce del Caucaso, le piramidi d’Egitto, e per l’oscillazione generale e per la loro propria. La stessa costanza non è altro che un’oscillazione più debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede incerto e vacillante, per una naturale ebbrezza. Lo prendo in questo punto, com’è, nell’istante in cui m’interesso a lui. Non descrivo l’essere. Descrivo il passaggio: non un passaggio da un’età all’altra o, come dice il popolo, di sette in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto. Bisogna che adatti il mio racconto al momento. Potrei cambiare fra poco, non solo di condizione, ma anche d’intenti. È una registrazione di diversi e mutevoli eventi e di idee incerte. E talvolta contrarie: sia che io stesso sia diverso, sia che colga gli oggetti secondo altri aspetti e considerazioni. Tant’è che forse mi contraddico, ma la verità, come diceva Demade, non la contraddico mai. Se la mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei, mi risolverei. Essa è sempre in tirocinio e in prova.
Io propongo una vita umile e senza splendore: è lo stesso. Tutta la filosofia morale si applica altrettanto bene a una vita comune e privata che a una vita di più ricca sostanza. Ogni uomo porta la forma intera dell’umana condizione. Gli autori si presentano al popolo con qualche segno particolare ed esteriore: io, per primo, col mio essere universale, come Michel de Montaigne, non come grammatico o poeta o giureconsulto. Se gli altri si lamentano perché parlo troppo di me, io mi lamento perché loro nemmeno pensano a sé stessi.»
Michel de Montaigne, Saggi.