Ogni muraglia ha la sua porta. (Elias Canetti, La provincia dell’uomo. Quaderni di appunti, 1942-1972. Adelphi, Milano, 1978).
Il muro ha una simbologia polivalente: può contenere, può dividere o difendere o può riportare scritte di frasi, di nomi, può ospitare dipinti. Anche la porta può avere una simbologia polivalente: col suo aprirsi o chiudersi, può indicare la libertà o il passaggio verso un’altra dimensione oppure può costringere e imprigionare, nascondere o svelare.
Dal Kotel, o muro del pianto, al Vietnam Veterans Memorial di Washington D.C., alla muraglia cinese, ai costruiti ed erigendi muri di separazione contro le immigrazioni, il muro ha sempre rappresentato e rappresenta una situazione limite.
In storia dell’arte famose sono nel XVIII secolo (1749/50-1761) le incisioni delle Carceri d’invenzione del famoso incisore e architetto Giovanni Battista Piranesi. Con esse, il Piranesi scatena la sua libertà d’immaginazione e di dinamismo prospettico attraverso la rappresentazione di muri, angoli, portici accennati che inducono nell’osservatore una risposta psicologica di costrizione e di angustia. Il muro è uno spazio bidimensionale spesso adoperato per comunicare. Dalle mani impresse in negativo sulle pareti rocciose delle grotte preistoriche di Pech Merle o di Gargas in Francia, all’affresco del Concerto degli Angeli di Gaudenzio Ferrari nella cupola del Santuario della Madonna dei Miracoli a Saronno (1534-1536), ai graffiti e alle immagini dei prigionieri delle carceri segrete dell’inquisizione spagnola in Sicilia che si trovano nel complesso dello Steri di Palermo, tutte hanno espresso, a seconda, voglia di tramandare asserzione, opulenza, disperazione, potere. È la psiche del Sapiens che si esprime coi e sui muri.
In architettura e nell’arte, dunque, il muro si erge, difende, divide, imprigiona, rappresenta. In psicologia, il muro rimanda alla chiusura mentale, al pregiudizio, al rifiuto egodifensivo come la negazione che non permette al problema psichico di essere ammesso alla corte della consapevolezza, passo soterico e indispensabile per l’avvio del cammino verso la guarigione.
Nel romanzo breve più venduto al mondo: Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde di Robert Louis Stevenson, il positivista scienziato dottor Jekyll crede di poter varcare impunemente il muro che si frappone tra l’Io e l’Ombra, intesa proprio in senso junghiano come archetipo contenente il principio del primitivo, non necessariamente del male, ma molto pericoloso se non lo si integra con gli aspetti più razionali ed etici della psiche.
I muri, se intesi quali bastioni irremovibili di certezze fideistiche, hanno sempre prodotto lutti e dolore. La fede religiosa, se vissuta in maniera fanatica, è sempre stata ed è tutt’oggi un muro d’intransigenza apportatore di genocidi, guerre e devastazioni. Scrive Immanuel Kant in Per la pace perpetua: “La guerra è un male perché produce più persone malvage di quante non ne tolga di mezzo” (Kant, I., Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 2022, pag. 74). Di una guerra infinita, come quella tra gli Israeliani e i Palestinesi o quella tra Ucraina e Russia, si usa l’espressione di “muro contro muro” per intendere che non esiste margine per la mediazione, perché nessuno dei contendenti è disposto a cedere porzioni delle proprie ragioni per riconoscere all’altro parte dei suoi diritti.
Il muro contiene la porta che è limen, cioè soglia che divide il di qua dal di là, ma la porta può essere anche “murata”, emblema del non più raggiungibile e del disattivato. Disattivazione che, in architettura ed in ingegneria edile, può essere riattivata con un intervento rigenerativo atto a riconsegnare a nuova funzione lo spazio e la volumetria che erano stati preclusi.
Nella suonata per pianoforte Quadri di un’esposizione del compositore russo Modest Petrovič Musorgskij, poi trascritta per orchestra nella versione più conosciuta da Maurice Ravel, il X brano La grande porta di Kiev esprime una forte solennità. In effetti, l’ispirazione al compositore fu data da disegni e acquarelli dell’architetto e pittore pietroburghese Viktor Aleksandrovic Hartmann. Il progetto della porta di Kiev fu ideato da Hartmann per onorare lo zar Alessandro II uscito indenne da un tentativo di omicidio il 4 aprile 1866. L’architetto valutava il progetto della porta come il miglior lavoro della sua vita professionale. La porta, in questo caso, assume il valore di conferma della vita, di facoltà di ammettere o estromettere ad essa e del ruolo del potere da quella rappresentato. La porta come confine tra il dentro e il fuori, tra l’intimo e il formale, ha sempre assunto un grande significato psicologico. I battenti chiusi custodiscono o nascondono. La porta difende la riservatezza, ma cela a volte segreti inconfessabili, soprattutto agli occhi degli estranei.
Nel suo straordinario saggio sull’icona Le porte regali, Pavel Florenskij ci prende per mano e, con acutissime analisi storiche e riflessioni filosofiche, ci conduce attraverso le “porte regali” dell’iconostasi che segnano il limite tra il mondo del percepibile e quello dell’impercepibile, zona impalpabile in cui avviene l’epifania di un dipingere eccelso in cui le figure sono “come prodotte dalla luce”. Luminosità, e il suo opposto l’ombreggiatura, quali elementi ricercati dai più grandi ingegneri e architetti nella realizzazione delle loro opere. Professionisti che potremmo definire “cacciatori di ombra e luce”.
L’ingegnere e matematico Erone di Alessandria, collocabile tra il I e il III secolo dopo Cristo, scrisse due trattati di pneumatica in cui puntualizzò molte applicazioni della pressione. Quella che interessa di più in questo scritto è la cosiddetta macchina di Erone, un congegno pneumatico che permetteva di aprire, e di chiudere le porte di un tempio, apparentemente senza l’intervento dell’uomo. Una versione antica delle attuali porte automatizzate. L’effetto di stupore e di soggezione sui fedeli che affluivano era assicurato.
Ultima, ma non meno importante nella nostra cultura occidentale e medievale, è la porta dell’accesso all’inferno, descritta dal sommo Dante Alighieri nell’apertura del canto III della Divina commedia (Edizioni Polaris, Faenza, 1990).
«Per me si va nella città dolente, / Per me si va nell’eterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente. (…) / Lasciate ogni speranza, voi, ch’entrate! / Queste parole di colore oscuro / Vid’io scritte al sommo d’una porta: (…)»
La porta, quale soglia del non ritorno, ricorda gli stadi dello sviluppo fisico e del suo ciclo che si “chiude” sulla vita di ognuno con la morte. La caratteristica fisica del soma è proprio quella del cambiamento che non lascia traccia di ciò che era prima il corpo, la cui sembianza precedente va perduta per sempre. Differente è, invece, l’aspetto psichico che cambia anch’esso, ma ha la caratteristica di mantenere, con la memoria, le dimensioni di tutti gli stadi dello sviluppo passato.
Concludo con una bella e famosa citazione relativa al nostro poeta Giovanni Pascoli:
«È dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi (…) / ma lagrime ancora e tripudi suoi. (…) Ma quindi noi cresciamo, / ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, / ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia.» (Il fanciullino, inizio del I capitoletto, in Giovanni Pascoli, Pensieri e discorsi, Ed. Nicola Zanichelli, Bologna, 1907).
Come suggerisce James Hillman nel suo Puer aeternus non dobbiamo dimenticare che la percezione del nostro destino e della nostra missione di vita ha radici nel Puer. Il Puer, dunque, quale porta e muro psichici che schiudono, sbarrano e comunicano, soprattutto a noi stessi, il messaggio principale della nostra vita. (James Hillman, Puer aeternus, Adelphi, Milano, 1999).
2 comments
Delizioso articolo che, con prosa fluente e felice, semplifica tanti concetti ed instilla curiosità di ulteriori approfondimenti al grande pubblico dei lettori. Le dotte citazioni abbracciano quasi tutti i campi dello scibile e, come detto, fanno onore alla cultura ed alla riflessione personale. Grazie dr Battista!
Ancora una volta l’autore con la sua straordinaria sensibilità come farebbe un pittore sembra dipingere su una tela le tante sfumature di un tema.
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