Oggi siamo a un bivio della memoria. Aumentano le nostre conoscenze, le informazioni sul nostro passato e gli studi che lo ricostruiscono, eppure ci troviamo a vivere in un eterno presente, nel quale la consapevolezza di essere collocati in un tempo, tra un passato e un futuro, sembra smaterializzarsi progressivamente: su questo si interroga Paolo Rumiz.
«L’11 gennaio 1993 il parroco della chiesa di San Giorgio a Ragusa vecchia convocò una grande messa in suffragio delle vittime del terremoto che trecento anni prima aveva distrutto una delle città più belle della Sicilia, sterminando metà della popolazione. Fu un momento particolarmente interessante. Il parroco aveva deciso di utilizzare il grande organo barocco della chiesa per rievocare quell’esperienza. Era un organo talmente raffinato da poter imitare e riprodurre i suoni della natura, dal rombo dei tuoni al cinguettio degli uccelli. Un organo gigantesco, nella pancia del quale entrai salendo delle ripidissime scale a chiocciola e che mi diede l’impressione di ritrovarmi nella sala macchine di un vecchio piroscafo.
Nel bel mezzo della messa, il parroco dette il compito all’organista di ricreare il frastuono del terremoto. Lo stesso ruggito che trecento anni prima era risuonato in quei luoghi investì improvvisamente i fedeli. L’onda emotiva fu impressionante, qualcuno addirittura svenne per lo spavento. Eppure il terremoto era qualcosa che sfuggiva alla loro memoria, potevano al massimo averne sentito parlare dai nonni dei nonni. Si trattò, insomma, di una geniale operazione evocativa: l’organista riuscì a risvegliare la voce del profondo. Lì, in una chiesa cattolica, era come avere dinanzi a noi la dea Persefone in persona che stava tuonando.
Poco tempo dopo, proseguendo la mia escursione siciliana alla ricerca della memoria dei sismi, raggiunsi un altro paesino nei pressi di Caltagirone, dove il terremoto veniva rievocato attraverso una rappresentazione quasi teatrale all’interno della chiesa. A un certo punto, a un cenno del prete, i fedeli presero infatti ad agitarsi sulle sedie che scricchiolavano e ondeggiavano, imitando perfettamente il terremoto. In questa chiesa, l’evento veniva riprodotto ogni anno, non solo nella data precisa, ma esattamente all’ora in cui la terra aveva tremato. La rappresentazione culminava nel momento in cui le chiavi di casa di ciascuna persona venivano gettate violentemente a terra, provocando l’immediato arresto di quest’oscillazione scricchiolante che aveva riempito la chiesa di uno stridio pazzesco.»
Paolo Rumiz, La storia fuori dal libro.