“Con l’avvio della procedura per la localizzazione del deposito nazionale, le attività di gestione dei rifiuti radioattivi prodotti in Italia sono entrate in una fase importante e molto delicata”. Questo è l’incipit delle conclusioni della “Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse” prodotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
La Sogin è la società di Stato incaricata dello smantellamento delle centrali nucleari italiane, individuata dalla Commissione come uno dei due principali soggetti tecnici di questa fase e, lo scorso 19 aprile, il suo amministratore delegato, Luca Desiata, ha presentato risultati aziendali di forte ripresa delle attività di decommissioning, con un volume complessivo di 63,2 milioni di euro, il 13% in più della media del periodo 2010-2016, nonché gli obiettivi per il prossimo futuro.
Ha poi illustrato l’avanzamento del processo di localizzazione del Deposito Nazionale, confermando che Sogin è pronta alla pubblicazione della CNAPI, la Carta delle Aree Potenzialmente Idonee ad ospitare il Deposito, ed è in attesa del necessario nulla osta da parte dei Ministeri competenti, Sviluppo Economico e Ambiente.
Ma, alla luce delle considerazioni e delle preoccupazioni avanzate dalla Commissione, abbiamo chiesto al dott. Fabio Chiaravalli, Direttore della Funzione Deposito Nazionale e Parco tecnologico di Sogin, di spiegarci lo stato dell’arte e quali siano le attività previste da mandato per localizzare, progettare, realizzare e gestire quest’ opera, che dovrebbe garantire lo smaltimento in sicurezza dei rifiuti radioattivi italiani e di terminare lo smantellamento degli impianti nucleari.
Direttore, quali sono i compiti istituzionali di Sogin e attualmente in quali attività siete impegnati?
Sogin è responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani, fra i quali la centrale del Garigliano in Campania, e della gestione dei rifiuti radioattivi. Il D.Lgs. 31/2010 affida inoltre il compito di localizzare, progettare, realizzare e gestire il Deposito Nazionale, un’infrastruttura ambientale di superficie dove collocare in sicurezza tutti i rifiuti radioattivi italiani.
Quali e quanti rifiuti saranno smaltiti nel Deposito Nazionale?
Il Deposito consentirà di smaltire definitivamente i rifiuti a bassa e media attività, per un volume attualmente stimato attorno ai 78.000 mc, e di stoccare temporaneamente i rifiuti ad alta attività, circa 17.000 mc. Il 60% del volume totale dei rifiuti proviene dalla ormai conclusa produzione di energia elettrica da fonte nucleare e dal decommissioning degli impianti ancora presenti sul territorio e il 40% è generato dalle applicazioni della medicina nucleare, dell’industria e della ricerca.
In quali tipi di lavorazioni industriali vengono prodotti e in quali procedure mediche?
I più comuni, provenienti delle attività industriali, sono rappresentati dalle sorgenti radioattive le cui radiazioni vengono impiegate in diverse attività, come la verifica delle saldature e la ricerca dei difetti in componenti meccanici, la sterilizzazione degli alimenti, la misurazione degli spessori, la calibratura degli strumenti e il bilanciamento di superfici mobili. Con la progressiva usura, non essendo più efficienti per gli scopi indicati, queste sorgenti diventano rifiuti e devono essere gestite e poi smaltite come tali.
Invece, i rifiuti radioattivi più comuni provenienti dalla medicina nucleare, sono prodotti dalle applicazioni diagnostiche, come scintigrafie e PET, dalle applicazioni terapeutiche, ad esempio la radioterapia interna, e dalle attività di ricerca in medicina nucleare, essenzialmente per la produzione dei radiofarmaci.
In Italia ci sono già tanti depositi, perché c’è bisogno di un solo Deposito Nazionale?
Un unico deposito è la soluzione che ci permette di sistemare tutti i nostri rifiuti radioattivi garantendo la massima sicurezza per la salute dei cittadini e la tutela dell’ambiente. Oggi sono custoditi in depositi adeguati ma temporanei, in quanto si tratta di strutture realizzate in siti non idonei allo smaltimento e progettate per il solo stoccaggio in sicurezza. Per la sistemazione definitiva dei rifiuti a bassa attività è invece necessario un deposito dotato di barriere multiple, in grado di assicurare l’isolamento della radioattività per almeno 300 anni, e ubicato in un sito idoneo. Oltre ai rifiuti a bassa attività, nel Deposito Nazionale verranno stoccati temporaneamente quelli ad alta attività, fra cui i residui del combustibile riprocessato all’estero, in attesa della disponibilità di un deposito geologico. Con la realizzazione del Deposito Nazionale, Sogin potrà quindi completare lo smantellamento degli impianti nucleari italiani, restituendo ai territori queste aree prive di vincoli di natura radiologica.
Va infine aggiunto che il Deposito Nazionale consentirà all’Italia di allinearsi a quei Paesi che, da tempo, hanno in esercizio sul proprio territorio depositi analoghi, come stabilito dalle direttive europee.
Su quali basi sono state individuate le aree presenti sulla CNAPI?
Sogin ha applicato i criteri di localizzazione elaborati da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nella Guida Tecnica n. 29, in linea con gli standard della IAEA (International Atomic Energy Agency). Si tratta di 15 criteri di esclusione e 13 di approfondimento. I primi, applicati al territorio nazionale, permettono di escludere le aree le cui caratteristiche non garantiscono la massima sicurezza, quali ad esempio zone vulcaniche, sismiche, naturali protette o caratterizzate da importanti risorse del sottosuolo. L’applicazione dei criteri di esclusione porta all’individuazione delle “aree potenzialmente idonee”. I 13 criteri di approfondimento consentono invece di analizzare, confermandole o escludendole, le aree che hanno superato il vaglio dei criteri di esclusione. Per esempio, parametri chimici del terreno e delle acque di falda o presenza di habitat e specie animali e vegetali di rilievo per la conservazione.
Cosa accadrà quando Sogin riceverà il nulla osta alla pubblicazione della Carta e del progetto preliminare del Deposito Nazionale?
Li pubblicherà, appunto, sul sito depositonazionale.it. Il nulla osta e, dunque, la pubblicazione non stabiliscono l’area dove verrà realizzato il Deposito, ma avviano una grande consultazione pubblica, la prima in Italia su un’infrastruttura di rilevanza nazionale, al fine di arrivare a una scelta condivisa del sito.
Come si svolgerà la consultazione?
Sarà un ampio processo partecipativo che durerà 4 mesi. Tutti i cittadini potranno inviare osservazioni e proposte tecniche o partecipare agli eventi organizzati da Sogin sui territori che ricadono nelle aree potenzialmente idonee. Questa fase culminerà in un Seminario Nazionale, il grande momento di dibattito a cui saranno invitati a partecipare tutti i soggetti interessati. Al termine della consultazione, sulla base delle osservazioni ricevute, Sogin elaborerà una versione aggiornata della Carta che, validata da ISPRA e approvata dai Ministeri competenti, diverrà Carta Nazionale delle Aree Idonee – CNAI. A questo punto Sogin chiederà alle Regioni e agli Enti locali interessati di esprimere manifestazioni di interesse, volontarie e non vincolanti, allo svolgimento di ulteriori indagini per stabilirne l’effettiva idoneità alla localizzazione del Deposito Nazionale.
A quale fine i territori interessati dalla Carta saranno coinvolti fin dall’inizio nel processo di localizzazione del Deposito Nazionale?
Le esperienze europee in materia, con depositi nazionali in attività da decenni, insegnano. Un’opera pubblica così strategica per la sicurezza, la salute dei cittadini e la tutela dell’ambiente, richiede un processo di coinvolgimento che porti ad espressioni di interesse consapevoli. É impensabile realizzare un’infrastruttura così sensibile senza il consenso del territorio ospitante. Le attività di informazione, trasparenza e coinvolgimento che saranno messe in atto da Sogin avranno un ruolo cruciale, tanto da essere previste all’interno del D.Lgs. 31/2010, sia per quanto attiene alle campagne di comunicazione, sia riguardo alle campagne di informazione sul sito selezionato, di consultazione pubblica e di seminario nazionale.
Non è ancora stabilito “dove” sarà il Deposito, però è abbastanza definito “come” sarà.
Sarà costruito, per un investimento complessivo di circa 1,5 miliardi di euro, all’interno di un’area di circa 150 ettari, compreso il Parco Tecnologico. In esso sorgeranno, all’interno di un’area di circa 10 ettari, 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, all’interno delle quali verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con i rifiuti radioattivi già condizionati in malta cementizia, i manufatti. Nelle celle verranno sistemati definitivamente circa 78.000 mc di rifiuti a bassa attività. Una volta completato il riempimento, le celle saranno ricoperte, a ulteriore protezione da eventuali infiltrazioni d’acqua, da strati di materiali inerti e impermeabili, dando luogo ad una collinetta erbosa che armonizzerà visivamente la struttura con il paesaggio circostante.
In un’apposita area del deposito, sarà altresì realizzato un complesso di edifici idoneo allo stoccaggio temporaneo di circa 17.000 mc di rifiuti ad alta attività, dato che la loro destinazione finale, come già detto, sarà un deposito geologico.
Il sistema ingegneristico multi-barriera del Deposito Nazionale e le caratteristiche del sito ospitante che, è bene ricordare, sarà risultato idoneo a seguito dell’applicazione dei criteri stabiliti da ISPRA, garantiranno l’isolamento dei rifiuti radioattivi di bassa attività dall’ambiente per oltre 300 anni, ossia fino al loro decadimento a livelli tali da risultare irrilevanti per la salute dell’uomo e l’ambiente.
Ci saranno pericoli per il territorio e per la salute dei cittadini che ospiteranno questa infrastruttura?
No. Il Deposito Nazionale sarà realizzato con le soluzioni ingegneristiche che abbiamo visto proprio per garantire la sicurezza in ogni sua fase. Nel corso dell’esercizio e anche con la chiusura, sarà peraltro monitorato sistematicamente per assicurare la massima efficienza delle barriere. Nei 300 anni necessari a far decadere la radioattività, chiamata fase di controllo istituzionale, resterà inoltre operativa una rete di monitoraggio ambientale e radiologico anche nei dintorni del sito.
di Lucia Severino