L’Ucraina è allo stremo. Ormai è evidente. L’operazione Kursk mediaticamente di successo è stata un fallimento. Ucraini sono in un imbuto di poche decine di km deserto e boschivo. Dove vi fu la grande battaglia di carri che permise a Mosca di sfondare e arrivare in Polonia nell’ inverno dei 1944. Cruciale è la centrale atomica che Kiev non può toccare. Le linee di rifornimento sono lunghe e lì Zelensky ha lanciato tutto il meglio che ha: uomini missili carri e anche F16. Sguarnendo tutto il resto. Ma ne ha pochi di aerei. Solo nove. Mentre il cielo è russo. E Kiev non ha copertura aerea e non può avanzare. Al contempo è arretrata nel Donbass e ormai la Russia ha in mano il 30 per cento del paese. Esattamente un anno dopo la disastrosa controffensiva ucraina dell’estate 2023.
Ecco allora che Zelensky gioca la carta disperata. E dice: lasciateci bombardare la Russia interna dal Kursk. Dateci altri aerei e missili. Ma gli USA pur non dicendo no, non lo accontentano e nicchiano. Euro NATO è infatti divisa con Italia, Germania, Ungheria e Turchia contro l’affondo al cuore della Russia. Basta un membro a fermare tutto, malgrado Borrell strepiti. Al contempo però Zelensky parla di trattativa con Russia, senza evocare più la vittoria. E Scholz sotto schiaffo dalla destra in Germania, lo incalza con un suo piano di pace. Peskov a nome di Putin a sua volta dice: non abbiamo precondizioni. Mentre tutto il resto del mondo preme per la tregua Cina in primis che fa manovre con la Russia.
Ultimo elemento. Il falco Kuleba braccio destro di Zelensky viene detronizzato e sostituito con un diplomatico e il governo rimpasta per metà. Doppio binario quindi per Kiev: da un lato appello all’attacco col favore Nato che non c’è e non è unita. Dall’altro tavolo con Putin fin qui nemico per legge ed escluso da ogni trattativa.
Insomma una tragedia per Kiev. Stretta tra due linee. Se avanza sguarnisce il Donbass ancora di più. E crolla. Se tratta ora ha perso. E Zelensky rischia. La terza via è stare in bilico aspettando Trump o Harris. Si profila allora una chance. E cioè, tregua. In un quadro multilaterale di garanti. Parziale ritiro russo dal nord del Donbass. Che almeno resta russo de facto al 20 per cento con Crimea. Infine. Patto con NATO esterna come ombrello. Ma Kiev fuori dalla NATO operativa.
Ci si poteva forse arrivare due anni fa. Oppure tre. Invece la geopolitica disse no. E così avemmo tre guerre. Nazionale, civile e geopolitica. Capolavoro che gettò nella fornace un popolo.