Foto by Olympics
Sono, per fortuna, lontani i tempi in cui la disabilità era una vergogna per le famiglie che tenevano in casa, nascosti agli occhi degli altri, i propri figli sfortunati. Mia madre, colpita a tre anni dalla poliomielite, ricordava che a Napoli si diceva che quel danno fisico era un segno del demonio, dal toccato da Dio bisognava tenersi lontano. All’infelicità della malattia e dei danni irreparabili che essa comportava si aggiungeva il sospetto e talvolta la derisione. Quanta sofferenza psicologica pesava su chi già nel proprio corpo doveva affrontare quella fisica!
Sono per fortuna cambiati i tempi e cambiati gli atteggiamenti, cambiato anche il linguaggio di approccio.
Tanto hanno fatto per la loro ed altrui causa personaggi come Bebe Vio o Alex Zanardi ed ancora di più fanno i Giochi Paralimpici che sono una grande occasione per conoscere storie, scoprire vicende che altrimenti resterebbero nell’ombra. La partecipazione massiccia degli atleti, l’attenzione per le prove sono un bel segnale che tra l’Olimpiade che si è conclusa e quella che si è aperta non c’è distanza se non per le forze diverse che gli sportivi mettono in campo.
Il programma prevede 22 sport, 23 discipline diverse e 549 eventi distribuiti negli 11 giorni di Giochi. La cerimonia di apertura il 28 agosto in Place de la Concorde. Sono previsti 4400 atleti, 2500 accompagnatori, 184 delegazioni e una stima di circa 65.000 spettatori. La cerimonia di chiusura è prevista per l’8 settembre allo Stade de France. E’ la punta di diamante dell’accettazione, sono giovani che ce l’hanno fatta, che hanno saputo vincere le loro grandissime difficoltà e noi tutti ne siamo felici. Resta tuttavia un’ipocrisia di fondo. Agli atleti paralimpici non dobbiamo niente se non la nostra ammirazione ma quando si tratta di bambini, donne, uomini che vivono a nostro stretto contatto che magari abbiamo in casa, a scuola come alunni o semplicemente nel nostro condominio, avremmo lo stesso atteggiamento di compiaciuta solidarietà?
Purtroppo la disabilità normale è fatta di difficoltà quali per esempio burocrazia lenta nel disbrigo di pratiche mediche, ascensori stretti, varchi per disabili inesistenti o, sui marciapiedi, ostruiti da macchine parcheggiate. Senza contare il fastidio se non il disgusto che la vista di un disabile a volte provoca nei normodotati. Le Paralimpiadi sono il momento di spettacolarizzazione della disabilità che deve indurci ad una riflessione sulla quotidianità. Riesco a vedere un disabile come un individuo nella sua singolarità di persona e non come appartenente ad una categoria abile/disabile? Riesco ad accettare che l’ordinario dell’esistenza venga messo in discussione da una presenza ingombrante?
Scrive Roberto Cescon (Disabile chi? La vulnerabilità del corpo che tace, 2020): “Educherai il tuo immaginario, se farai in modo che l’idea di unità della specie umana non cancelli l’idea di diversità e viceversa. Il terrore della disabilità è il terrore dell’altro da sé, che abita dentro di te”.
Bisogna quindi lavorare su se stessi per cancellare le categorie, ma oggi godersi anche lo spettacolo delle Paralimpiadi, gioire della forza, del coraggio, della tenacia di questi giovani atleti. Come recita il Comitato olimpico:
I Giochi Paralimpici sono molto più di un semplice evento sportivo: offrono un’opportunità unica per concentrare l’attenzione del mondo sullo sport e sulla disabilità, ispirare gli individui, apportare cambiamenti sociali e promuovere opportunità professionali e sportive inclusive per le persone con disabilità.