Nel capitolo XI del secondo libro dei suoi “Saggi”, Montaigne affronta il tema della crudeltà umana. Lo fa a partire dalle considerazioni sugli episodi di crudeltà che gli uomini infliggono agli animali: il sospetto è che voglia suggerire un parallelismo non solo fra gli uomini e gli animali, ma fra la crudeltà e la bestialità.
«Fra gli altri vizi, odio crudelmente la crudeltà, e per natura e per ragionamento, come il più grave di tutti i vizi.
(…). Io vivo in un tempo in cui abbondiamo di esempi incredibili di questo vizio, per la sfrenatezza delle nostre guerre civili. E nelle storie antiche non si vede nulla di più eccessivo di quello di cui facciamo prova ogni giorno. Ma questo non mi ci ha per nulla abituato. A fatica potevo persuadermi, prima di averlo veduto, che si trovassero anime così mostruose che, per il solo piacere dell’assassinio, volessero commetterlo: tagliare a pezzi e dilaniare le membra altrui; aguzzare il proprio cervello per inventare tormenti inusitati, e morti nuove; senza odio, senza profitto; e per questo solo scopo, di godere del piacevole spettacolo dei gesti e dei movimenti miserevoli, dei gemiti e delle voci lamentose di un uomo che muore fra gli strazi. Poiché questo è l’estremo limite che la crudeltà possa toccare.
“Ut homo hominem, non iratus, non timens, tantum spectaturus, occidat” (“Che l’uomo uccida l’uomo, senza esser spinto dalla collera, né dal timore, ma solo per lo spettacolo”).
Quanto a me, non ho potuto veder senza dispiacere inseguire e uccidere neppure una bestia innocente, che è senza difesa, e dalla quale non riceviamo alcuna offesa. E quello che accade comunemente, che il cervo, sentendosi senza fiato e senza forza, non avendo più altro scampo, si rimette e si arrende a noi che lo stiamo
inseguendo, chiedendoci grazia con le sue lacrime, questo mi è sempre sembrato uno spettacolo spiacevolissimo. Non prendo mai una bestia viva a cui non ridia la libertà.
Pitagora le comprava dai pescatori e dagli uccellatori per fare altrettanto: Le nature sanguinarie nei riguardi delle bestie rivelano una naturale propensione alla crudeltà.
Dopo che a Roma ci si fu abituati agli spettacoli delle uccisioni degli animali, si passò agli uomini e ai gladiatori. La natura stessa, temo, istilla nell’uomo qualche istinto verso l’inumanità. Nessuno si diverte vedendo delle bestie giocare fra loro e accarezzarsi: tutti immancabilmente si divertono vedendole sbranarsi e squartarsi.»
Michel de Montaigne, Saggi (Traduzione di Fausta Garavini).