È più che il racconto di un sogno, quello de ”Il piccolo drago”, presentato da Anna Maria Ortese come una “conversazione” in “In sonno e in veglia”: “Ogni volta che sentivo il gemito di una bestia, mi sentivo rimescolare… E non potei mai più pensare di essere “buona”, una creatura come loro… Avevo un peccato. Tutti gli uomini avevano un peccato e un debito immenso da pagare.”
«Ho paura della forza. Ho paura delle armi, l’autorità, il diritto (delle armi e delle autorità); paura dei Romani Antichi, ma soprattutto di San Michele. (…) Una notte feci un sogno. Mi trovavo, di giorno, nella stanzetta da pranzo, con i fratelli e la Nonna. C’era un gran silenzio. Il sole filtrava dalle persiane chiuse e illuminava la tavola senza tovaglia, con una sola bottiglia verde e nera nel centro. Io ero seduta nel mio seggiolone. Di là, dietro la porta che metteva nella stanza della Nonna, si sente uno scricchiolio. La Nonna si alza, e va a vedere. Torna dopo un momento e dice, molto pallida e triste: “Di là c’è il Drago, e vuole uno di voi”. Il silenzio continuò. Forse uno dei miei fratelli piccoli piangeva o era adirato. Di colpo, io scesi dalla mia sedia, e mi diressi verso la stanza. Spinsi la porta. C’era una diffusa luce rossa dalle grandi pareti rivestite di carta rossa a fiori. Tutto il mobilio della stanza, un grande armadio di noce, attrasse la mia attenzione. Una delle ante, quella destra, era dischiusa, e qualcosa di verde brillava e si moveva nella fessura, come una gonna… Poi vidi la coda e le manine del Drago, che si preparava a scendere. Scese. Una specie di coccodrillo, col petto bianco, la bocca rossa, aperta, e occhi infinitamente affettuosi, benevoli… Sembrava un bambino, sembrava che mi conoscesse. E io pensavo: “Come può volermi mangiare?”. Sempre guardandomi – ma facendo fatica dato il suo peso – la povera Bestia veniva avanti. Ed ecco che alla mia sinistra, sulla parete immensa, prese corpo una figura magnifica e ugualmente immensa, con gonnellino rosso, con elmo, con corazza e spada. Era l’Arcangelo Michele (di cui c’erano molte immagini in un ripostiglio della casa). Uscì quasi dal muro, allungò un braccio e mi consegnò la spada. Mi trovai in piedi sul collo della Bestia, armata – io alta appena qualche centimetro – e con un ordine dell’Angelo. La Bestia non aveva capito. Mi guardò, e un attimo dopo si rovesciò sul dorso. Un fiume rosso usciva dalla sua bocca, come fosse stoffa, ma gli occhi restavano dolci e calmi. Anzi, tutto l’oro del tramonto li sommerse, e da quell’oro – e dai fiori e la stoffa rossa che uscivano dalla sua bocca – veniva una voce meravigliosa, fievole: “Io ti volevo bene,” diceva “volevo regalarti una cosa… E tu mi fai male…” e qui seguì un diminutivo del mio nome. Cercavo a terra la cosa che mi voleva regalare, la cercai con terrore e disperazione perché non la meritavo. Entrò la Nonna. L’Arcangelo rientrò nel muro. Steso a terra, il Drago sbiadiva come una luce. Raccolsi allora la spada, piccola e rotta. Il sogno sparì.»
Anna Maria Ortese, Il piccolo drago.