D’accordo è estate e il caldo ha picchiato duro in questi giorni con effetti imprevedibili sull’attività intellettuale, sarà per questo che a leggere certe notizie pensi a uno svarione da colpo di calore. Invece no: c’è stata una proposta di legge, firmata del senatore leghista Manfredi Potenti, che intendeva multare addirittura di cinquemila euro chi avesse scritto “avvocata” o “sindaca” negli atti pubblici, “il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”.
Le intenzioni di Manfredi Potenti erano chiarissime nelle premesse: “La presente legge intende preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici, come ‘Sindaco’, ‘Prefetto’, ‘Questore’, ‘Avvocato’ dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”.
Per fortuna, la proposta ha colto di sorpresa lo stesso partito di Potenti. Il segretario e vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini non ne era al corrente, e alcuni dirigenti della Lega si sono un tantino infastiditi. Per questo nella tarda mattinata di lunedì il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha chiesto a Potenti di ritirare il disegno di legge, perché «fuori linea» rispetto all’orientamento del partito. E infatti, Potenti ha provveduto poche ore dopo a comunicare agli uffici di Palazzo Madama la sua decisione di eliminare la proposta.
Ne siamo ovviamente contenti tutti e abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ma rimane un tarlo che ci obbliga a riflettere. Che qualcuno ritenga che la declinazione femminile di ruoli istituzionali o professionali corrompa la lingua italiana e per evitarlo vuole proporre multe salatissime rivela un pensiero chiaro, cioè che le donne nella vita pubblica siano al massimo decorative e che il punto di riferimento universale e immutabile resta quello maschile.
In più, viene da chiedersi perché queste manovre grammaticali pseudo-conservatrici non riguardino declinazioni di termini come “operaia” “cameriera” o “infermiera”, ma solo per “avvocata” o “ingegnera” dal momento che la morfologia è la stessa? Significa pensar male nel credere che queste mansioni considerate di servizio, quindi di vocazione femminile, rientrino in un elenco di termini escluso dal divieto?
Del resto, era chiaro sin da subito che la proposta di legge fosse una mossa che aveva l’intento di alzare polveroni ideologici su giornali e social network, con quasi nulle possibilità di essere approvata in parlamento. A volte le mire del parlamentare che presenta queste proposte è procacciarsi visibilità su un tema caldo del momento, assegnarsi una posizione ideologica di fronte al proprio elettorato più radicale, spesso con proposte provocatorie e scriteriate, ma tant’è.
Ciò che preoccupa di più però, è che l’estate è ancora lunga e le occasioni per castronerie politiche di proporzioni cosmiche sono ad alto rischio. E pur di accaparrarsi un pizzico di visibilità in più si potrebbe instaurare una gara a chi la spara più grossa.