Aurelio Musi ha dedicato studi notevoli alla rivolta antispagnola del 1647 e alla figura di Masaniello: da “La rivolta di Masaniello nella scena politica barocca” al più recente “Masaniello. Il masaniellismo e la degradazione di un mito”, in cui se ne misura la portata attuale.
«Il masaniellismo è termine usato soprattutto nella pubblicistica e nei media per indicare atteggiamenti e comportamenti assimilabili a quelli di Masaniello, il capopopolo napoletano che guidò i moti napoletani scoppiati nel luglio 1647. La rivolta ebbe un importante significato politico e sociale. Essa perseguì innanzitutto un obiettivo politico, la parificazione del potere nel governo di Napoli capitale del Regno tra nobiltà e popolo. Fu inoltre un moto contro la pressione fiscale imposta alla capitale dal governo spagnolo. Ebbe anche una forte impronta antinobiliare. La funzione storica di Masaniello fu quella di unire ceti popolari, artigiani e plebei, ma anche piccoli funzionari della amministrazione nella protesta antifiscale e antinobiliare. Nella rappresentazione semplificata, mediatica e quindi destoricizzata il personaggio Masaniello ha finito per diventare il sinonimo di qualsiasi capopopolo che si mette alla testa di proteste e rivolte senza capo né coda, per il semplice gusto di “fare ammuina”, creare disordine, senza proporsi obiettivi realizzabili (…).
La figura di Masaniello divenne subito mito e antimito. Egli ha rappresentato nel tempo tutto e il contrario di tutto, eroe popolare capace di mobilitare le masse per la libertà contro l’oppressione, ma anche tiranno odioso, rappresentante dei bisogni degli oppressi, ma anche boss camorrista ecc. Questa dialettica tra santificazione e demonizzazione iniziò subito. Dopo la decapitazione di Masaniello nella sagrestia della chiesa Napoletana del Carmine ad opera di sicari assoldati da una congiura formata da nobili, mercanti, appaltatori di gabelle, mandanti dello stesso viceré duca d’Arcos, il corpo del capopopolo fu trascinato per l’intera città e fatto a pezzi, quindi ricomposto, profumato, portato in trionfo, quasi santificato dal popolo che prima lo aveva considerato il responsabile di tutte le sue disgrazie. I funerali di Masaniello furono una apoteosi e videro la partecipazione dell’intera città. Nel 1656, durante la peste che colpì Napoli, i predicatori convinsero il popolo del fatto che la peste fosse il castigo di Dio per il peccato della rivolta del 1647. Così Masaniello divenne il demonio, la fonte di tutti i Mali, il mostro assassino e sodomita, il depositario di tutti i vizi. La doppia immagine arriva fino a noi con tutte queste caratteristiche che hanno pesantemente deformato la figura storica di Masaniello. Nella pubblicistica spesso Masaniello diventa così il rappresentante del napoletano tipo, una sorta di simbolo, stereotipo che indica tutti i caratteri negativi di un popolo incline alla rivolta fine a sé stessa, disposto a seguire il capo del momento, ecc. È la degradazione di un mito che pure ha suscitato fascino e attrazione nel corso del tempo, conservando tuttavia sempre l’ambivalenza di cui si diceva.»
Aurelio Musi, intervento su: Masaniello. Il masaniellismo e la degradazione di un mito.