Nella sua ricostruzione dei “dieci giorni che sconvolsero Napoli” tra il 7 e il 16 luglio 1647, dai primi moti di Piazza mercato guidati da Masaniello d’Amalfi, alla sua uccisione nel giorno della madonna del Carmine, e dei giorni successivi, Vittorio Dini si propone di indagare uno snodo storico, politico e morale che ancora ci interroga, richiamandone gli inizi attraverso i resoconti del cardinale Filomarino a papa Innocenzo X.
«In effetti è nelle giornate tra il 12 e il 13 luglio che Masaniello raggiunge il culmine della condizione di eroe “positivo”, l’apoteosi “da Vivo”. Lo testimoniano i risultati della sua azione, ma lo prova anche la stima di un osservatore diretto e, in qualche misura, neutrale quale può essere il cardinale Ascanio Filomarino, in una lettera inviata a papa Innocenzo X, appunto in data 12 luglio. Il cardinale aveva già, con lettera datata 8 luglio, informato il pontefice dello scoppio dei tumulti; aveva chiuso la lettera “a quest’ora delle diciotto” della fatidica sera, con stato d’animo “tra la speranza e il timore”, e convinto di non dovere “tralasciare tutti li mezzi, divini e umani”. In questa nuova lettera, sente il bisogno di diffondersi sulla “pessima piega, per l’animosità del popolo, insolentito in tutte le cose”, presa dagli avvenimenti, e quindi di ripercorrere le tappe dell’esplosione popolare.
“Questa sollevazione ebbe principio da venticinque in trenta fanciulli, ciascheduno de’ quali non passava li quindici anni, e che si erano uniti nella Piazza del Mercato, con le canne in mano, per fare una festa solita farsi ogni anno, con alcuni giuochi puerili, in onore della Beatissima Vergine. Detti fanciulli, trovatisi a caso presenti al luogo dove si pagava la gabella de’ frutti; mentre, per certa differenza occorsa col gabellotto, ne furono gettati via alcuni sportoni; presane buona parte, ne facevano allegrezza grande fra di loro. Un tale Masaniello pescatore, giovane di venti anni, ch’era anche lui presente, fattosi capo di detti fanciulli, e di altri che occorsero si unirono, e montato sopra di un cavallo che stava sulla piazza, disse: Che si levi la gabella delli frutti. Ad un batter d’occhio si unirono con lui migliaia e migliaia di persone di popolo, e tutte sotto la sua guida s’incamminarono verso il palazzo del Viceré. Per strada givano sempre crescendo: onde in poche ore arrivarono al numero di cinquanta in sessanta mila, e si sollevò tutta la città; e fu Domenica 7 del passato, conforme scrissi a Vostra Santità. Questo Masaniello è pervenuto a segno tale di autorità, di comando, di rispetto e di ubbidienza, in questi pochi giorni, che ha fatto tremare tutta la città con li suoi ordini, li quali sono stati eseguiti da’ suoi seguaci con ogni puntualità e rigore: ha dimostrato prudenza, giudizio e moderazione; insomma era divenuto un re in questa città, e il più glorioso e trionfante che abbia avuto il mondo. Chi non l’ha veduto, non può figurarselo nell’idea; e chi l’ha veduto, non può essere sufficiente a rappresentarlo perfettamente ad altri. Non vestiva altro abito che una camicia e calzoni di tela bianca ad uso di pescatore, scalzo, e senza alcuna cosa in testa; né ha voluto mutar vestito, se non nella gita da Viceré. La confidenza e l’osservanza e il rispetto ch’egli ha avuto in me, e l’ubbidienza che ha mostrato in ordinare e far eseguire tutte le cose che gli venivano dette e suggerite da me, è stato il vero miracolo di Dio in questo così arduo negozio: il quale era altrimenti impossibile di condurre a fine in sì poche ore, come si è fatto…”»
Vittorio Dini, Masaniello. L’eroe, il mito.