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Green Med Expo, la governance dell’acqua parte dalla conoscenza.

by Redazione
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Non è possibile, in epoca di cambiamenti climatici, gestire la risorsa più preziosa di tutte se non conosciamo con sufficiente esattezza quali sono le condizioni dei corpi idrici. È uno degli argomenti di cui si è dibattuto nel corso di Green Med Expo, appuntamento fieristico sui temi dell’economia circolare tra i più importanti del Mezzogiorno, ideato tra gli altri da Ecomondo e Ricicla Tv, appuntamento che si è svolto quest’anno dal 12 al 14 giugno nei padiglioni della Mostra d’Oltremare a Napoli, ospitando anche gli Stati generali dell’ambiente promossi dalla Regione Campania.

Proprio nella cornice degli Stati generali, un panel di esperti e autorità, introdotto dal vicepresidente della Regione Fulvio Bonavitacola, si è confrontato lo scorso 13 giugno su come mitigare l’impatto del Climate Change sul sistema acqua. Tra i presenti, il commissario di governo per l’emergenza siccità, Nicola Dell’Acqua, che ha posto appunto la questione della governance della risorsa idrica. «In Italia peraltro – ha ricordato il tecnico veneto scelto dal Governo per affrontare il tema della disponibilità di acqua – negli ultimi 25 anni si sono verificate sette grandi crisi idriche, con una tendenza all’aumento della frequenza. Nonostante la centralità della questione-acqua nel nostro Paese, non ci si è impegnati abbastanza sull’accumulo, oltre che sulla riduzione delle perdite e del consumo». A giudicare dalle opere realizzate – ha ragionato l’esperto – settanta anni fa la Cassa del Mezzogiorno dedicava più attenzione a questi aspetti rispetto a tempi più recenti, in un’epoca in cui le emergenze ambientali non erano peraltro così sentite.

Vera Corbelli, segreteria dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale, ha ricordato che in Italia il sistema di governance della risorsa idrica fa perno sulle autorità di bacino, la cui azione andrebbe tuttavia rafforzata. «È un sistema che andrebbe ulteriormente strutturato – ha osservato – definendone meglio le cosiddette regole di ingaggio». Il sistema può reggersi soltanto su una serie di accordi tra enti con competenze diverse. Ad esempio, «per la gestione dei bilanci idrici», ha fatto notare l’esperta, «bisogna partire dalla conoscenza, e in questo senso è necessario potenziare le reti di monitoraggio».

Proprio di reti di monitoraggio ha parlato il direttore generale Arpac, Stefano Sorvino. Il manager dell’agenzia per l’ambiente ha osservato che, mentre per il monitoraggio delle acque marine le attività sono capillari e consolidate da tempo, per acque superficiali e sotterranee si sta lavorando per colmare delle lacune storiche. «L’Arpa Campania», ha sottolineato, «è storicamente sottodimensionata rispetto al territorio di riferimento. Nonostante ciò, il monitoraggio delle acque interne è stato intensificato negli ultimi anni, con l’attivazione di nuove stazioni e l’ampliamento dei parametri, grazie a risorse regionali a valere sul Por. Del resto, i risultati delle nostre attività sono sul nostro sito e rappresentano un patrimonio a disposizione di tutti».

Cosa raccontano i dati, ad esempio sulla qualità dei corpi idrici superficiali? «Sappiamo – ha affermato il dg Arpac – che in Campania la situazione è diversificata. Non c’è la stessa pressione dalle attività produttive riscontrabile in regioni come la Lombardia, ma si rilevano, in maniera disomogenea sul territorio, criticità sui nitrati e sui parametri microbiologici causate dagli apporti di reflui civili, agricoli e da attività zootecniche. Le criticità riguardano soprattutto il bacino del Volturno e del Sarno, mentre la situazione è più rosea per il bacino del Sele. Se guardiamo a quattro laghi che seguiamo con attenzione, cioè Fusaro, Lucrino, Miseno e Lago Patria, riscontriamo una qualità buona delle acque ma permane una presenza significativa di inquinanti nei sedimenti».

Tuttavia, per poter gestire, non basta conoscere: è un’ovvietà, ma la realizzazione e la manutenzione delle opere sono fondamentali. La Corbelli ha illustrato gli interventi svolti su otto dighe rientranti nel distretto idrografico dell’Appennino meridionale, un’operazione che permetterà, dopo il 2026, di recuperare 300 milioni di metri cubi di acqua ogni anno.

Si pensi poi alla questione dei flussi tra regioni che garantiscono gli equilibri tra i territori più dotati di acqua e quelli più secchi. In un anno, nel solo Mezzogiorno vengono scambiati tra regioni 850 milioni di metri cubi. Verso la Puglia, per fare un esempio, la Campania esporta 6.200 litri al secondo. Se dovessero interrompersi questi flussi, interi territori entrerebbero in crisi. L’autorità di bacino distrettuale si è impegnata per curare la manutenzione del vettore di trasferimento verso la Puglia, andando a definire con la collaborazione di numerose istituzioni (tra cui l’Arma dei Carabinieri) tutti gli scenari di rischio che potrebbero compromettere questo deflusso vitale.

Tra gli autorevoli esperti intervenuti, il prof. Maurizio Giugni, ordinario di Costruzioni idrauliche dell’ateneo federiciano, già commissario di governo per la depurazione, ha fatto notare che probabilmente il consumo di suolo impatta sulla risorsa acqua più ancora dei cambiamenti climatici. Un altro tema, quello del consumo di suolo, su cui le attività di monitoraggio sono affidate alle Arpa e all’intero Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, tant’è che lo studioso ha citato il rapporto tematico del Snpa presentato lo scorso ottobre. «I dati», ha ricordato, «mostrano che non rallenta il ritmo con cui si perde suolo naturale e cresce il suolo impermeabilizzato». Con conseguente pesanti, perché le acque di falda si ricaricano di meno e le acque, non di rado, diventano non più una risorsa, ma un pericolo.