Grandi manovre al polo laico di centro distrutto dai due galli che non raggiungono il 4% alle Europee. E bruciano il 7% dei voti. Ora s’avanza una idea. Eccola. Nuovo centro dem tipo Margherita con Rutelli o Sala in campo. Anche in vista di un neo-prodismo senza Prodi. Dentro ci possono stare i due litiganti Renzi e Calenda ma non più in pole position. Renzi abile e mobile ha già capito e dice subito: “bene, faccio un passo indietro ma Calenda no”. E Calenda? Non dice nulla per ora. Ma Renzi lo conosce bene. Vedremo. Sta di fatto che, come dice in una intervista sul Domani Goffredo Bettini che forse ha le chiavi del cor di Elly Schlein, il centro va aiutato a ricomporsi pur stando in alleanza. E non più né di qua o là come assevera Calenda. E quindi un’area moderata e progressista, che cumuli un 10%, serve eccome al centro sinistra e stavolta con trattino: centro-sinistra. Come quello di Prodi che benedice già pubblicamente questa sorta di ritorno al futuro. In un bipolarismo di coalizione che vorrebbe attrezzare la battaglia contro il premierato – che Renzi ora contesta nelle forme di Meloni – e senza veti contro i 5Stelle, che pur si vorrebbe aiutare a trovare forma nuova e civica, con assemblea di iscritti e gruppo dirigente vecchio e giovane. Superando il veto sul terzo mandato e diventando partito movimento strutturato. E si ritornerebbe così al primo centro sinistra vittorioso con forze distinte.
Bipolarismo quindi senza oltranze veltronian-maggioritarie, alleanze vaste e centro sinistra con due trattini stavolta. Uno verso la neo Margherita, l’altro verso il populismo civico stellato e riformato. E non più il Pd come “partito coalizione”, frutto di confluenza di Ds e Margherita, che poi fu il Pd che vedemmo dal 2007, bensì partito di fatto socialista e di sinistra riformista, pace e lavoro, con l’aggettivo che ritrova dignità, non più passepartout a destra al centro o a sinistra liberal.
Una sinistra riformista che vorrebbe avversare la contro riforma premierale, stando attenta alla destra che accede ai piani alti della Ue. Con il rapporto tra Meloni e la von der Leyen. Il premierato visto come sciagura. Strada senza ritorno e distruttiva della democrazia parlamentare. Una Nuova Repubblica autoritativa e proprietaria. Di massa col ceto medio ricco e impoverito che si sente minacciato da Europa e immigrazione. E attenzione. L’autonomia differenziata vista come secessione differenziata. Come una torsione legalitaria della democrazia diretta. Da manuale. Che squilibrerebbe l’equilibrio dei poteri a vantaggio dell’esecutivo. Comprimerebbe i controlli di legalità e ridurrebbe al lumicino i poteri del Quirinale derubricato a notaio del premier eletto e non più arbitro e persino ipotecato ab origine nella sua elezione, da una legge elettorale che blinderebbe la maggioranza assoluta attorno al premier eletto. Via i corpi intermedi, via i partiti che diventerebbero ancor più partiti d’opinione attorno a persone. Partiti personali. Da una parte Centralismo presidenziale premierale con parlamento subalterno e ostaggio del premier. E dall’altra disgregazione della coesione sociale. Con quale destino per le regioni povere e del sud, è facile immaginare.
Opporsi a tutto ciò sarebbe la mission di un nuovo centro progressista. Non solo per delineare una sana alternativa bipolare. Ma soprattutto per impedire che la “madre di tutte le battaglie” proclamata da Meloni e futuro oggetto di referendum trasformi per sempre i connotati della democrazia repubblicana.