Avevamo scritto (“Commissione d’inchiesta sui rifiuti. I risultati”) che avremmo divulgato i contenuti della relazione conclusiva (del 28 febbraio) della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, analizzandoli e commentandoli in uno specifico percorso informativo. Abbiamo pubblicato il piano di lavoro, selezionando i temi da trattare, e raccontato a grandi linee come è nata la Commissione.
Oggi ci occupiamo di alcuni aspetti della “Parte I – Quadro generale”, i cui punti salienti riguardano le funzioni della Commissione, la sua composizione e la differenziazione dell’ambito di indagine in approfondimenti tematici e territoriali.
La legge, in sintesi, le affida il compito di indagare: sul ciclo dei rifiuti in relazione alla criminalità organizzata; sul traffico di rifiuti locale e transfrontaliero; sugli Enti locali; sulle attività di bonifica; sulla gestione dei rifiuti radioattivi; sulla gestione degli impianti di depurazione; sullo smaltimento dei relativi reflui; sulla gestione dei rifiuti pericolosi.
Non sono espressi i motivi di tale perimetrazione delle attività. Probabilmente si è operato in continuità con le precedenti analoghe leggi, pur con l’importante novità dell’introduzione del tema depurazione, collegando di fatto il ciclo dei rifiuti a quello dell’acqua.
Appare evidente l’enormità dell’incarico e la sua complessità, non solo in relazione alle caratteristiche quali-quantitative del campo d’indagine, ma anche per l’ineludibile, strettissima interconnessione soggettiva e territoriale tra i vari filoni d’inchiesta. Indagare sul ruolo della mafia significa probabilmente indagare sulla maggior parte dei temi assegnati in quasi tutte le regioni d’Italia, altrettanto dicasi per gli accertamenti sull’operato degli Enti locali, e sono solo degli esempi.
La Commissione, “secondo una collaudata metodologia”, per sistematizzare il proprio lavoro, ha ripartito l’inchiesta tra approfondimenti a carattere territoriale, concentrando le indagini su specifiche regioni, e approfondimenti a carattere tematico, cioè “a carattere non territoriale”.
Orbene, non è chiaro come possano esistere approfondimenti non territoriali, il ciclo dei rifiuti è legato al territorio per definizione e infatti praticamente tutte le inchieste della commissione sono in realtà “territoriali”, né quale sia l’utilità pratica di una simile distinzione, a meno che non risponda a logiche politico-amministrative.
Si parte cioè dai territori, intesi nei loro confini amministrativi, le Regioni, nelle relative competenze gestionali, politiche, giudiziarie o quel che sia, per arrivare agli illeciti di qualunque natura (ovviamente sempre nell’ambito del mandato ricevuto) o, viceversa, da una certa tipologia di illiceità, presunta o conclamata, si giunge alle competenze e alle responsabilità sui territori.
Ma, allora, diventa essenziale esporre i criteri della ripartizione. La questione non è secondaria, perché la scelta delle regioni passate al setaccio, dei tematismi trattati e delle modalità di indagine attiene alla rigorosa esecuzione dei compiti affidati alla Commissione dalla legge, all’utilità delle indagini stesse e all’indipendenza dei politici/giudici.
Facciamo un esempio. Ci saremmo aspettati di trovare una relazione territoriale riguardante la Puglia, non foss’altro che per la questione Ilva di Taranto che rappresenta un’emergenza (ambientale, produttiva, occupazionale) di livello nazionale, della quale si occupa il Governo e sulle cui soluzioni c’è aspro confronto tra le diverse forze politiche. Invece no.
Si parla dell’Ilva all’interno della relazione tematica riguardante le bonifiche dei Siti di Interesse Nazionale, in una “scheda” che costituisce “una modalità di organizzazione dei dati finalizzata all’obiettivo di poter disporre di un quadro omogeneo, utile ad analisi e comparazioni dello stato di attuazione delle bonifiche”. I dati raccolti “sono esclusivamente quelli ufficialmente forniti dal Ministero dell’ambiente”. Se la dimensione delle aree non è stata comunicata, la stessa è stata ricavata dal sito internet dello stesso Ministero. I dati non comunicati e non ricavabili dal sito sono stati indicati come “non disponibili”.
Quindi, le informazioni si avevano già (addirittura internet) e non è stata elaborata una specifica relazione conclusiva che tirasse le somme, attribuisse responsabilità, avanzasse proposte.
Potremmo anche osservare che dovendo indagare sulla criminalità organizzata è singolare che non ci sia una relazione sulla Calabria, solo un altro esempio.
In assenza delle relative motivazioni, che avrebbero rappresentato una parte fondamentale della complessiva attività d’indagine, qualche perplessità sulle scelte generali operate e le modalità seguite non appare del tutto peregrina.
Ma chi ha fatto le scelte? La Commissione è formata da 15 senatori e 15 deputati in rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari come prescrive la legge, che dice pure che i componenti sono nominati anche tenendo conto della specificità dei compiti assegnati alla Commissione. Non è chiaro se alluda alle competenze o alla conoscenza dei luoghi e dei fenomeni.
Ebbene, i membri della Commissione risultano essere (sito del Parlamento, dove abbiamo trovato un senatore in meno): disoccupati 1, liberi professionisti laureati in lettere moderne (?) 1, assicuratori 1, consulenti aziendali 1, giornalisti 1, matematici 1, commercialisti 1, sindacalisti 2, ingegneri 2, architetti 2, imprenditori 2, medici 2, avvocati 3, impiegati/quadri/dirigenti 9. Le specifiche competenze ci saranno sicuramente.
Gli stessi furono a suo tempo eletti in: Campania 8; Lombardia 6; Lazio 6; Marche 3; Veneto 2; Puglia, Piemonte, Sicilia e Calabria 1 ciascuna. Non conosciamo sufficientemente le varie realtà locali, però, per quello che riguarda la Campania, la cui “relazione territoriale” si occupa anche delle scelte operate dalle ultime Giunte regionali, notiamo che ci sono membri della Commissione che facevano parte di una di quelle Giunte, tranne poi a piroettare politicamente magari con lo schieramento opposto. Suona male.
Alla fine, il quadro generale non risulta chiaro né limpido. La Commissione d’inchiesta agisce si con i poteri della magistratura, ma non è un pubblico ministero, non parte da una notizia di reato, indaga su un fenomeno e deve dettagliatamente elaborare e preliminarmente esporre l’impostazione di fondo del suo lavoro, non può cavarsela con il generico riferimento a consolidate metodologie. D’altronde, la stessa legge istitutiva avrebbe dovuto motivare l’individuazione dei compiti affidati.
Vedremo nel prosieguo dei nostri approfondimenti le conseguenze pratiche che ne derivano.
di Lucia Severino