La “Rhetorica ad Alexandrum”, databile tra il IV e il III secolo a.C. e di dubbia paternità aristotelica, è l’unico testo conservato integralmente all’interno di una vasta produzione di ‘technai rhetorikai’, cui fanno più volte accenno sia Platone sia Aristotele.
«Passiamo ora a desumere allo stesso modo le principali forme di argomentazione al riguardo della pace e della guerra. Questi sono i motivi che si adducono per fare guerra a qualcuno: “in passato siamo stati oggetto di aggressione; per questo, ora che si presenta il momento favorevole, bisogna vendicarsi e punire gli aggressori”; oppure: “ora che siamo oggetto di aggressione, dobbiamo combattere per difendere noi stessi, i nostri familiari o i nostri benefattori”; oppure: “dobbiamo portare aiuto ai nostri alleati, che sono aggrediti”; oppure: “ciò nell’interesse della città, o per assicurarne la fama o la prosperità o la potenza o qualche altra cosa del genere”.
Quando esortiamo a fare la guerra, dobbiamo raccogliere il maggior numero possibile di motivazioni, e poi dimostrare che la maggior parte dei fattori che assicurano la vittoria in guerra è a favore di quelli a cui ci rivolgiamo. In guerra, si vince sempre o per la benevolenza degli dèi, che noi chiamiamo fortuna, o per la superiorità numerica e la forza fsica, o per la disponibilità di denaro, o per la capacità del comandante, o per il valore degli alleati, o per la posizione favorevole. in conclusione, quando esortiamo a fare guerra, utilizzeremo ed esporremo questi o simili argomenti, scegliendo quelli più adatti alla situazione, minimizzando le risorse degli avversari, e ingrandendo e amplifcando le nostre.»
Retorica ad Alessandro, 1425a, 26-28. (Trad. Maria Fernanda Ferrini).