Giovedì 30 maggio per tanti analisti politici e giudiziari è stata una giornata storica per gli Stati Uniti d’America. L’ex presidente Donald J. Trump è stato condannato per ben 34 capi di accusa contro la sua persona. Esattamente tutti quelli presentati dal prosecutor Avin Bragg, potente District Attorney di New York. La sentenza è stata netta. Colpevole per tutti i trentaquattro capi di accusa. Verdetto della giuria popolare composta da 7 uomini e 5 donne, tra i quali figuravano diversi esperti di finanza. E queste esperienze professionali hanno contato sull’emissione del verdetto di colpevolezza. Crimini, quelli di Trump, da colletti bianchi.
Quello da sottolineare in questo verdetto è la unicità dell’imputato. Per la prima volta nella storia giudiziaria e politica degli Stati Uniti d’America un ex presidente e candidato alla corsa presidenziale di quest’anno viene condannato. Gli esperti esaltano l’efficienza del sistema giudiziario statunitense. Nobody is above the law. Nessuno è al di sopra della legge. Senza dubbio. Ma è stato sempre così? I capi di accusa a Trump non sono recenti. Già l’ex District Attorney di New York, un ruolo giudiziario specifico per controllare e monitorare i crimini finanziari, aveva provato a mettere mano ai fatturati della Trump Corporation, senza successo. Questa volta è stato possibile farlo. Sia per le testimonianze dei suoi stretti collaboratori: Michael Cohen, già condannato, e il Chief Financial Officer della Trump Corporation, Allen Weisselberg. Ma questi crimini finanziari hanno una lunga storia, che risale a tanti anni prima della elezione di Donald J. Trump alla Casa Bianca. A New York, meglio dire a Manhattan, tutti i grandi costruttori e uomini di Wall Street sapevano della infondatezza finanziaria delle aziende di Trump e del suo modo spregiudicato di operare. Eppure nessun procuratore aveva osato indagare sulle aziende di Trump. Con Alvin Bragg la musica è cambiata. Alvin Bragg vanta una lunga esperienza nel sistema giudiziario americano e newyorkese. Un sistema giudiziario che nella sua lunga storia non ha fatto sconti a nessuno quando si è trattato di crimini dei colletti bianchi.
Ora la sentenza sugli anni di carcere, che possono variare da uno a quattro anni per ogni capo di imputazione, arriverà l’11 di luglio. Quattro giorni prima della nomination, da parte del Partito Repubblicano, di Trump a sfidante del Presidente Biden. In questa scadenza i sostenitori di Trump e della fazione MAGA (Make America Great Again) vedono lo spettro della premeditazione e del disegno politico dei Democratici di farlo fuori dalla corsa alla Casa Bianca. L’influente Senatore Federale della Florida, Marco Rubio, figlio di esuli cubani, ha parlato di giustizia cubana. I tabloids vicini a Trump (The New York Post) parlano di In-giustizia. Sui social fluttua la tesi del grande complotto. Trump ha rigettato la sentenza di colpevolezza, dicendo che è frutto di uno stato fascista e saranno gli elettori a giudicare sulla sua colpevolezza.
La Rule of Law è il sistema giuridico anglosassone con il quale si amministra la giustizia. Si condensa nel concetto: “nessuno è al di sopra della legge”. Nemmeno un ex Presidente della nazione più potente al mondo. Questo porta ancora di più ad una spaccatura nel sistema politico e sociale americano. Una polarizzazione estrema.
La sentenza è stata emanata. Da qui al 5 novembre, Election Day, assisteremo ad un continuo martellamento mediatico e politico da parte dei Repubblicani sul grande complotto nei confronti del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Non c’è stato grande complotto. C’è stato di sicuro un grande ritardo nell’investigare la Trump Corporation che da decenni operava con metodi aldilà del lecito nella città di New York.