Concepito come soggetto e trattamento cinematografico, ma anche come narrazione-guida per una serie televisiva, “L’Olimpo” non fu mai realizzato e oggi rimane solo come testo scritto, da cui ho estratto alcune note di lavoro.
«Questa scelta narrativa dei miti greci, immenso patrimonio poetico della storia umana, in cui si celano alcune delle più profonde verità e significazioni della stessa più segreta vicenda della psiche (tanto da poter essere quasi tutti interpretabili in chiave psicanalitica) ha a che fare, comunque, anche, e soprattutto, coi temi della contemporaneità. Se tutta la parte iniziale del racconto, coi densi riferimenti ai divini parricidi di Urano e di Crono, fatti ogni volta da un figlio contro un padre, si rivolge alla scossa delle violente alternanze “Rivoluzione-Tradizione”, lo stesso – e primario – grande mito di Dioniso, che qui ha tanta parte – è rivolto a captare tutto ciò che di rigeneratore, rinnovatore nel felice Disordine o (con scaduta parola) “contestatorio”, vi è nella ricchissima furia del “tumulto dionisiaco” (ben più attuale dei suoi vecchi precedenti romantici in Nietzsche).
Ma anche il mito di Teseo e del Labirinto è una struggente, potente allegoria della vicenda di scoperta dei segreti e ritorti meandri dell’inconscio, per affrontare e scoprire il “mostro” che sta in fondo ad ognuno di noi, e così pure la leggenda di Icaro ha a che fare col segreto, il limite, delle forze umane, e dell’umano orgoglio. Mentre la formidabile avventura di Pasifae col toro riguarda da vicino non tanto la favola delle perversioni del sesso, quanto i plurimi, “anomali”, rapporti del corpo amoroso con la Natura. Perfino certi dettagli dei miti – come quello del feto di Dioniso che viene cucito nella coscia del padre Zeus, per maturarvisi come in un alveo materno – esprimono la linea d’un significato profondo, e cioè il rifiuto della donna generatrice, della civiltà matriarcale: l’opposizione alla discendenza “mater-lineare” dell’uomo, cioè “attraverso la madre”. Questo film sui miti greci (dei quali nessun particolare appare da noi dilatato od aggiunto, riflettendone invece l’enorme intrico di suprema favola fantastica ed introspettiva della storia umana) dovrebbe essere costruito da un Dittico, cioè da un insieme di due films, di due ore l’uno; parte prima e parte seconda, da proiettarsi in due giorni diversi (come si è fatto per un recente film italiano, Novecento). Si dovrebbe trattare di quattro ore di proiezione durata che renderebbe poi tutto lo spettacolo adatto per la “trasmissione serializzata” televisiva, resa opportuna anche dalla forza culturale e persino informativa del patrimonio dei miti. Ciò non sembri smisurato o sproporzionato: appena ci si mette sul terreno delle grandi saghe mitologiche, le “durate” narrative si espandono. Wagner ha avuto bisogno di “quattro giornate” per drammatizzare, appunto, la grande epica dell’Anello dei Nibelunghi: la “Tetralogia”, appunto.»
Federico Fellini, L’Olimpo. Il racconto dei miti.