Ma di cosa stiamo parlando? Bullismo, classismo o ritorsione nei confronti di un maître à penser della sinistra? Cominciamo dall’inizio a beneficio dei nostri lettori.
Il 20 aprile Michele Serra nella sua consueta rubrica L’Amaca, pubblicata su Repubblica, riflettendo sul fenomeno del bullismo a scuola, a proposito dei fatti di Lucca, dice in sostanza che l’educazione è proporzionale al ceto sociale. “Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore”, scrive Serra, “e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale. Cosa che da un lato ci inchioda alla struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società (vanno al liceo i figli di quelli che avevano fatto il liceo), dall’ altro lato ci costringe a prendere atto della menzogna demagogica insita nel concetto stesso di populismo”.
Una tale affermazione ha scatenato il web, tutti si sono sentiti in diritto di dire qualcosa a tal proposito, come al solito estrapolando dal contesto le singole espressioni.
Matteo Salvini. “Per alcuni ‘intellettuali’ di sinistra i ragazzi che vanno agli istituti tecnici o professionali, i figli del popolo e non dei ricchi, sono più violenti e ignoranti, più spesso fanno i bulli a scuola”, ha scritto su Twitter il leader della Lega. “Questo è vero razzismo, questa è vera ignoranza”
Maurizio Crozza, ha beffardamente notato che Donald Trump, il più grande bullo del mondo, è miliardario. Poi ha mostrato una foto di Michele Serra su un’amaca dicendo che questa era la metafora della sinistra italiana: lontana dalla gente, appesa a un filo e senza i piedi per terra. Ha poi parlato anche della moglie di Serra e dell’azienda di famiglia, raccontando dei prodotti come il profumo da mettere sulla barba: “Pensa cosa avresti scritto tu a Cuore su un te stesso così, Michele, ti saresti preso per il culo per anni”. E ha mostrato le statistiche che raccontano come tra i liceali ci siano più atti di bullismo denunciati, secondo i numeri dell’Istat.
Abbiamo solo dato alcuni esempi di interventi polemici, aggressivi e a volte al limite dell’offesa personale che circolano ormai da giorni
Serra nel suo successivo intervento nell’Amaca di domenica 22 aprile si è difeso, sostenendo di aver voluto richiamarsi alla lezione della Scuola di Barbiana sulla “scuola di classe”
“È diventato contro il popolo ciò che a quelli come me, lungo una intera vita, è sempre sembrato il più potente argomento a favore del popolo: denunciarne la subalternità economica e culturale, dire il prezzo che paga, il popolo, alla sua mancanza di mezzi materiali (i quattrini) e immateriali (la conoscenza, l’educazione)”.
Cerchiamo, a questo punto, di riordinarci le idee: le affermazioni di Serra sul bullismo maggiormente diffuso nelle scuole tecniche e professionali è, a mio avviso, frutto di una mancata conoscenza, sul campo, della realtà scolastica.
I ragazzi tutti, trasversalmente, provano ad essere presenti sul web, ad esistere attraverso quello che sanno fare meglio: usare la rete. Non c’è differenza, in tal senso, tra i giovani della fascia di età adolescenziale di qualunque classe sociale, per quanto possa ancora oggi valere una distinzione di tal genere. La differenza la fa l’attenzione della scuola e della famiglia.
Perchè, come dice Crozza, tra i liceali l’Istat classifica più elementi di bullismo? Perchè nei licei i dirigenti scolastici e le famiglie dei ragazzi sono più attenti al controllo, quello che avviene viene denunciato, i bulli isolati o esclusi o rieducati. L’atmosfera che si respira negli istituti tecnici e professionali è di sostanziale rassegnazione. Sembra non servire a niente reagire perché l’opinione pubblica già considera di serie B questo tipo di istruzione, (vedi Serra).
Farei, quindi, un discorso non statistico ma di singola istituzione che a partire dai presidi, ormai manager a tutti gli effetti, possono effettivamente operare contro questo fenomeno. Che poi siano i dirigenti dei licei a fare la differenza questo dipende dalla responsabilità dei singoli.
Che poi Serra, nel suo intervento, abbia voluto, in qualche modo, quasi ingenuo, colpire i populismi, dire che non tutto ciò che viene dal popolo è positivo, se è farcito di ignoranza e maleducazione, sembra plausibile. Forse è vero però che c’è bisogno, per gli intellettuali di sinistra, di rivedere il proprio linguaggio settoriale. Non si può più usare il vocabolario anni ’70 per una realtà che ci vede ormai tutti etichettati come popolo della rete, e basta. L’autore voleva, davvero, richiamarsi al pensiero di don Milani. Ma è possibile oggi ancora parlare in tal modo o bisognerebbe innanzitutto cercare nuovi linguaggi che siano poi frutto di nuove costruzioni intellettuali?
Infine, Crozza … la satira deve essere libera: lo diciamo e ne siamo convinti. E’ stata un’occasione troppo ghiotta colpire un intellettuale di sinistra che fa uno scivolone, dopo che il partito ne ha fatti tanti. Ma se un personaggio popolare, interpretando a suo modo il testo, usa la violenza verbale, il colpo basso dell’attacco al privato, cosa ci possiamo aspettare dai ragazzi?
La scuola rispecchia la società: vecchia ed abusata affermazione, ma se gli adolescenti sono bulli un buon esame di coscienza da parte degli adulti sarebbe indispensabile e proficuo.
di Piera De Prosperis