Paolo Prodi è stato storico della Chiesa e del Potere nell’età moderna. Qui si chiede se l’Occidente conserva ancora il potenziale rivoluzionario che ne ha caratterizzato la storia nell’ultimo millennio, e se l’Europa è in grado di sottrarsi al proprio declino.
«Perché in pochi decenni la parola “rivoluzione” è entrata tanto in disuso da diventare quasi soltanto oggetto d’antiquariato o di vignetta satirica? I politici, vecchi e nuovi, parlano di “movimento”, “mutamento” o genericamente di riforme o riformismo: quando usano il termine “rivoluzione” lo usano al passato. Anche i movimenti eversivi o che vorrebbero essere tali, tutti i movimenti di opinione che lottano contro la struttura della società attuale, tutte le tendenze che vengono connotate come “anti-politica” evitano per lo più questo termine o lo usano in modo metaforico o allusivo, mentre soltanto pochi anni fa “rivoluzione” era la parola chiave di ogni movimento di popolo. Il nuovo popolo della rete usa il termine per designare il passaggio da 2.0 a 3.0, per indicare un passaggio interno allo sviluppo della tecnologia e della comunicazione, contraddicendo proprio il significato più tradizionale di rivoluzione come rottura.
Il mito della rivoluzione è finito. Ma l’Europa, l’Occidente sono nati e cresciuti come “rivoluzione permanente”, cioè come capacità nel corso dei secoli di progettare una società alternativa rispetto a quella presente: ora questa capacità di progettare un futuro diverso sembra essere venuta meno. Vi è chi giudica questa riflessione troppo legata a una visione “eurocentrica”, ma essa non ha nulla a che fare con il vecchio eurocentrismo dell’epoca degli imperi coloniali e del periodo della decolonizzazione. Credo infatti che l’innegabile declino dell’Europa non possa essere compreso soltanto sul piano geopolitico o geoeconomico, sulla base delle vecchie interpretazioni legate alla potenza militare o al Pil, ma debba essere spiegato con il venir meno della capacità rivoluzionaria dell’Europa nelle sue coordinate antropologiche di fondo. Non si tratta di porre una rivalità e concorrenza fra la storia della vecchia Europa e le storie dei mondi vecchi e nuovi che la circondano, ma di sapere con quale bagaglio di civiltà stiamo entrando come uomini europei in questi nuovi panorami sconosciuti: se vi entriamo avendo perso la capacità di produrre le rivoluzioni che hanno caratterizzato la nostra storia.»
Paolo Prodi, Il tramonto della rivoluzione.