Giacomo D’Alessandro, classe 1990, si definisce “camminatore e comunicatore”. Dal 2009 pratica la comunicazione sociale a servizio di associazioni, reti sociali ed ecclesiali. “Fare quanto è giusto” ha un sottotitolo: “Le fatiche dei ‘buoni’ nel paese che declina”.
«Per le fasce più abbienti delle nuove generazioni laurearsi è ormai da tempo uno step scontato perché “lo fanno tutti”, un passaggio obbligato della crescita più che una scelta motivata. Per le fasce più deboli è qualcosa di inavvicinabile ed evitabile in virtù di una immediata necessità di lavorare, senza alcuna proposta per aumentare in altro modo il proprio capitale culturale. Il clima che si respira in molti atenei è quello di un’azienda che produce voti e diplomi di laurea preconfezionati. La relazione diretta con il professore sparisce quasi ovunque sui grandi numeri, ci si imbatte in docenti che per anni ripropongono le loro quattro slide a prescindere da chi hanno davanti, senza mai personalizzare un minimo la didattica o dare spazio a processi creativi interattivi. Tanto è vero che in tutti i contesti di crisi che vive la società raramente emerge la voce dell’università. Capita di sentire qualche singolo docente, ma una mobilitazione sociale condotta dalla tale università non si sente mai, eppure dovrebbe essere l’ambiente in contatto con le persone più capaci di analizzare la realtà, di leggere i processi, di formare criticamente e aprire dibattito, facendo le pulci al sistema sociale. (…) Una cosa però è certa: l’università di oggi non produce classe dirigente ma in buona parte servi di sistema. Discepoli dei professori secondo il sistema obbligato delle carriere. Servi dei dogmi del capitalismo, nei requisiti di collocamento e competitività delle aziende. Mentre una classe dirigente di nuovi cittadini ha bisogno di sperimentarsi in pratiche sociali e politiche.»
Giacomo D’Alessandro, Fare quanto è giusto.