fbpx
Home Cultura LE CITAZIONI: Rossanda, la favola sulla morte e la vita

LE CITAZIONI: Rossanda, la favola sulla morte e la vita

by Ernesto Scelza
0 comment

Rossana Rossanda muore nel 2020, oggi avrebbe 100 anni. Tra gli ultimi scritti è una favola “immaginifica e politica” sulla vita e sulla morte, “Amar”. Amar è seguace di Ben Maimon, filosofo, teologo e medico ebreo andaluso, noto nel mondo latino come Maimonide. Siamo poco dopo l’anno Mille e Amar, insieme alla moglie e ai figli, vive in accordo con gli insegnamenti del maestro cercando di aiutare gli altri; finché, come in un maleficio, si trova a dover affrontare la morte dei figli, uno dopo l’altro. Quando anche l’ultima chiude gli occhi, Ben Maimon gli assicura, con parole che alle orecchie di Amar suonano come una beffa, che sarà l’ultima. Ed è così che Amar decide di chiedere a Dio di sollevarlo dalla morte”. Cosa imparerà Amar in questa sospensione di mortalità Rossanda ce lo racconta nella favola; perché abbia deciso di scriverla ce lo dice nell’Introduzione.

«La favola di Amar è un frutto del disagio. Non mi riusciva di scrivere se non in forma fantastica che, se non morissimo, non conosceremmo niente di simile alla vita che tanto ci è cara. Eppure è un’evidenza. Ma è un’evidenza che non attiene al sentimento di noi che abbiamo, è un’evidenza della ragione cui non si accompagna quel senso di pacificazione che altre volte il ragionamento sembra darci, consumando l’emozione nell’assumerne i termini. La materia di cui è fatta la vita è il tempo che fugge, il suo sangue è la nostalgia d’un sempre che non ci appartiene, ma sul quale soltanto ci misuriamo. Tanto che se il tempo non fuggisse e il sempre prendesse il posto della fine, la vita non avrebbe alcun significato. Ma ci sono contraddizioni che non riusciamo a dichiarare perché in esse ci dibattiamo, sono dentro e non distinguibili da noi.

Il finito non sopporta la finitezza. Almeno l’umano finito: gli animali ne hanno terrore non coscienza, e per questo gli occhi dell’animale morente hanno uno stupore insostenibile. Ma sembra che sia insostenibile anche l’esserne consci, visto che si vive accettabilmente solo in quanto resta incerta la fine. La condanna a morte ci appare barbara, perché non solo si uccide un uomo ma gli viene detto quando sarà ucciso.

Pare che per vivere bisogni dimenticare di morire, anche se il senso della vita è marcato dalla sua limitatezza. Ma come reggere alla molteplicità dei mali che agli uomini porta, dice Esiodo, la morte? Nel vaso di Pandora, che li ha disseminati per il mondo, resta la speranza, ma è cieca, come se non vedesse la fine, è follia, bugia, esorcismo – non muoio oggi, probabilmente non domani, forse non muoio affatto.

Raro è colui che invoca, come nel Salmo: “Rivelami, Signore, la mia fine, quale sia la misura dei miei giorni.” È l’opposto che si chiede, e forse nessuno ha detto come Catullo della malinconia cocente nel vederli fluire: “Soles occidere et redire possunt; nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.” Le stelle possono tramontare e risorgere; per noi, quando finisce la breve luce, non c’è che una sola eterna notte di sonno. Questa sì infinita, pesante verso appena alleggerito dall’amoroso ricatto: “Dammi dunque subito mille baci, e poi ancora cento.” Lo stesso lied hanno nei secoli il “Carpe diem”, o il goliardico “Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus. Post iucundam iuventutem, post molestam senectutem, nos habebit humus” o il più dolce “Quanto è bella giovinezza, che si fugge tuttavia. Chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza”. Questi versi non sono modalità della morte, sono modalità del vivere. Come l’opposto suggerimento dell’ascetico: “Ut semper viveret, vixit ut moriturus.” Vivi come se stessi per morire. Per risorgere? No, perché eludi la morte, troncamento e distacco, se pratichi troncamento e distacco interiormente ogni giorno.»

Rossana Rossanda, Amar. Favola laica.