Questa del futuro premio Nobel per la letteratura Eugenio Montale è la recensione, redatta all’indomani della Liberazione, di “Marcia su Roma e dintorni”, che l’esule antifascista Emilio Lussu fece uscire a Parigi nel 1933. Lussu fu tra i fondatori, con Carlo Rosselli, del movimento “Giustizia e Libertà”. Tornato in Italia dopo il 25 luglio 1943, partecipò alla Resistenza come dirigente del “Partito d’Azione”. Fu deputato alla Costituente.
«I giovani d’oggi, coloro che non hanno partecipato al fascismo dei primi anni e che hanno conosciuto solo il periodo di apparente unanimità che accompagnò quel movimento prima del passo falso della guerra, si chiedono talvolta come quell’unanimità sia potuta sorgere, quali ne siano state le cause e in quali modi essa sia avvenuta. Si trovano di fronte ad un mistero per essi quasi inspiegabile; si credono incolpevoli dell’accaduto e trasecolano pensando che si deve solo a una sconfitta militare il fatto ch’essi siano riusciti ad aprire gli occhi e a vedere ciò ch’era visibile anche prima, eppure non era veduto che da pochissimi (…). (“Marcia su Roma e dintorni” di Emilio Lussu, ndr) è la cronaca, nuda, asciutta, quasi impersonale dei fatti che all’autore, deputato di un collegio sardo alla fine dell’altra guerra, resero impossibile ogni attività politica e che dovevano condurlo prima a Lipari e poi (dopo la fuga) alla vita dell’esule, del fuoruscito. Forse sorprenderanno le note di sottile umorismo che tramano tutta la confessione del Lussu. Là dove uno spirito più retorico avrebbe visto soltanto pianti e tragedia, questo italiano di nobile stampo, incapace di credere che l’adempimento di un dovere sia qualcosa di più che uno stretto obbligo verso sé stessi, si ribella ad ogni amplificazione e registra i fatti con assoluta fedeltà di testimone. Ci dà così la realtà di quel tempo; la realtà di un vaudeville che (a parte le molte vittime) non si era ancora trasformato in una tragedia collettiva; e non è colpa sua se molte pagine del suo libro hanno sapore di farsa e di farsa tipicamente italiana. Negli anni in cui Lussu scriveva, la tragedia successiva non era ancora prevedibile in tutta la sua vastità non dobbiamo perciò meravigliarci se all’esule Lussu il fascismo apparve per un momento sotto l’aspetto di una grande farsa nazionale. Come cominciò? Come prese audacia, forza, respiro? Come poté stroncare ogni tendenza avversa? La genesi è ben chiara nel libro di Lussu: un nucleo di spostati, di disoccupati e di scontenti della “vittoria mutilata”, trovato il proprio uomo in Mussolini si oppose alle incomposte agitazioni di piazza dei partiti di sinistra, creando un nuovo generico sovversivismo, un sovversivismo diciamo così “a scoppio ritardato”, di uomini facili ad esser messi alla greppia e addomesticati; questi uomini furono pochissimi dapprima, ma incoraggiati e foraggiati dai possidentes che temevano di perder tutto (in un momento in cui le agitazioni di piazza avevano già dimostrata la loro vacuità!) presto crebbero di numero e d’improntitudine. Giolitti pensò che questo movimento potesse essergli utile in un primo tempo; e che in un secondo momento – una volta ch’esso fosse immesso nella macchina dello stato – gli sarebbe stato facile domarlo. Non fu invece così e, travolto Giolitti, il ministro del “nutro fiducia”, Facta, non trovò aiuto in un sovrano che sapeva acquisito alla causa fascista il duca d’Aosta, pronto a profittare della situazione per fare il colpo. Più tardi, col delitto Matteotti, si presentò al re un’occasione propizia per liberarsi di Mussolini e per rafforzare la sua dinastia per molti anni; ma gli interessi creati erano già troppo forti e la tattica puramente parolaia delle opposizioni non approdò a nulla di concreto. La terza occasione doveva presentarsi soltanto nel ’33… Troppo tardi.
(…) Se cerchiamo di studiare la tecnica del fascismo e la ragione del suo successo iniziale indipendentemente da quello che fu il suo contenuto, una conclusione appare chiara dal libro di Lussu: un nuovo fascismo, cioè un nuovo movimento antidemocratico e liberticida sarà sempre possibile (…). Finché il sistema che ha reso possibile il fascismo esisterà ancora, sarà sempre possibile il ritorno della malattia. Il germe del male è sempre vivo in noi; la paura, anzi il terrore della libertà è in noi; mantenete in piedi leggi ordinamenti e istituti che lo favoriscano… e attendete. Oppure correggete radicalmente gli istituti che questo male aiutano e rendono, a scadenza più o meno lunga, inevitabile. Gli ordinamenti che ci reggono furono fatti da uomini che non credevano nell’Italia e che l’hanno, effettivamente, disfatta; provare altre vie, oggi, non è giocare una carta incerta, è un semplice dovere verso di noi, una dimostrazione da noi dovuta a noi stessi che dopo tante prove l’Italia finalmente è nata, esiste.»
Eugenio Montale, Cronache di una disfatta, in “Il Mondo”, 2 giugno 1945.