Giuseppe Dossetti, 1913-96, figura eminente della Repubblica italiana, partigiano, costituente, politico e monaco, continua ad interrogarci. E a sfidare le nostre coscienze.
A rileggerlo si scoprono ogni volta nuove intuizioni, indicazioni, visioni di incredibile attualità, imprigionate per troppo tempo nelle gabbie della guerra fredda. Sfaccettature mai sviscerate prima o solo sfiorate nell’esegetica che lo riguarda.
Alternò nella sua vita il deserto e la città, la fuga mundi e l’engagement.
Ne ricostruisce oggi il percorso esistenziale e teoretico il collettaneo appena pubblicato per i tipi di Intra, ‘Le orme di Dossetti’, Pesaro 2024, curato da Davide Ferrari e Giuseppe Giliberti.
Libro snello ed insieme esaustivo, da suggerire a chi cerchi una introduzione al pensiero e all’azione di don Giuseppe Dossetti. Vi troverà il giurista costituente e quello ecclesiastico e canonico, il riformatore della democrazia locale ed il ‘servo inutile’ in preghiera, il combattente per la libertà e il religioso pronto ad obbedire ai suoi superiori.
Brevemente sull’alternarsi dei suoi ritiri nel deserto e rientri nel secolo.
Nel secolo. Negli anni ’40 si avvicina ai cenacoli antifascisti, nel ’44 entra nel CLN. Dopo la liberazione è vicesegretario nazionale della DC. Eletto nella Costituente fa parte della Commissione dei 75. Nel ’48 è eletto deputato. Entra in contrasto con i vertici del partito guidato da Alcide De Gasperi. Nel ’51 si dimette e si ritira a vita monastica. Nel ’56, in obbedienza all’ordine del card. Lercaro, arcivescovo di Bologna, rientra nel mondo. Sarà il candidato sindaco della DC a Bologna in competizione con Giuseppe Dozza, comunista. Bologna era una città inespugnabile per la DC e la sua una candidatura senza speranze. Ne era consapevole. Non fece bizze, obbedì e si impegnò senza risparmio di forze. La DC ottenne il 27% dei voti. Mai prima ne aveva avuti e mai dopo ne avrà tanti a Bologna. Da candidato prima e da consigliere poi, mette su un gruppo di lavoro per un’idea di città in cui aggrega giovani del valore di Achille Ardigò, Beniamino Andreatta, Osvaldo Piacentini e Giorgio Trebbi. Con loro redige il Libro bianco su Bologna, una visione della città felsinea che entro pochi anni diverrà la linea guida per le amministrazioni successive, pur se a guida PCI. Nel ’58 lascia lo scranno di Palazzo Accursio e rientra nel deserto monacale. Nel ’94, anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, sente la Costituzione in pericolo. Ritorna nel mondo e si batte in sua difesa. È restata nella storia la sua relazione il 16 settembre a Monteveglio, dove insieme a Nilde Jotti si riunirono di Comitati per la difesa della Costituzione da lui fondati.
Nel deserto. Nel ‘52 dà vita ad un Centro di documentazione, embrione della futura Fondazione per le Scienze Religiose. Ordinato sacerdote nel ‘59 fonda a Monteveglio la Piccola Famiglia dell’Annunziata. Partecipa attivamente ai lavori del Concilio Vaticano II. Nel ‘72 si trasferisce a Gerico, in Palestina.
Ritorna a Dio nel ’96.
Tra il deserto e il secolo la sua formazione giovanile nelle file dell’Azione Cattolica. I Patti Lateranensi, pur nei limiti imposti dal regime, avevano riconosciuto alla Chiesa la facoltà di agire nel sociale e nelle istituzioni politiche attraverso l’AC, fondata da Mario Fani e Giovanni Acquaderni nel 1867, nel pieno dei contrasti postunitari tra Stato e Chiesa. A proposito dell’AC, nel ‘62, don Giuseppe Dossetti scriverà nei suoi appunti per una relazione ‘religiosa e teologica sul problema dei rapporti tra Chiesa e Stato’: “...la Democrazia Cristiana, trasfusione sostanzialmente, sul piano politico, della dirigenza cattolica del laicato italiano. […] Uomini di Azione Cattolica diventati Segretari prima della DC, in grandissima maggioranza, e poi diventati alla prima o seconda elezione, deputati. Li abbiamo fatti noi con le nostre mani, li hanno fatti i nostri vescovi […] tirandoli su da bambini…”.
Lui stesso era stato ‘tirato su da bambino’. È appena il caso di ricordare come la Chiesa di Pio undecimo e dodicesimo, inorridita dalle persecuzioni anticristiane dell’Unione Sovietica ed impaurita dal proposito del PdCI di ‘voler fare in Italia come è stato fatto in Russia’, vedeva finanche nel nazifascismo un baluardo contro il ‘pericolo comunista’. È in questo milieu che si forma il Nostro. Tuttavia, la sua libertà interiore non mancherà di fargli individuare piuttosto nel nazifascismo il principale e vero demone distruttivo da cui liberarsi. Per lo meno in Italia. Tant’è che aderirà senza riserve alla lotta partigiana. Poi, in sede costituente, stabilirà un dialogo con Togliatti nel reciproco rispetto, pur senza sottacere da parte di entrambi le loro profonde distanze ideali. Né mai fiancheggerà gli orientamenti ultraconservatori dei Gedda, e neppure quelli moderati e di stretta osservanza atlantista di Alcide De Gasperi. Colse negli anni Novanta i nuovi scenari post crollo dell’URSS. Infine, con Nilde Jotti, pose a Monteveglio, nella ‘sua’ Abbazia, le basi ideali di quello che, con Romano Prodi, sarebbe stato l’Ulivo.
‘Le orme di Dossetti’ ne seguono i passi per aree tematiche, dal pensiero giuridico a quello politico/istituzionale, dalla sua visione di città, alla preghiera monastica. Con un filo conduttore: la progressiva marcia di avvicinamento tra cattolici e comunisti, fino alla rottura del ‘muro’ ideale che li aveva separati per un settantennio.
Ma è conciliabile la dottrina dossettiana con il riformismo di derivazione comunista? Giuseppe Giliberti traccia con esemplare chiarezza discorsiva i lineamenti del pensiero sociale di Dossetti, ostile tanto al dirigismo comunista quanto all’individualismo liberal-capitalista. Al centro della riflessione di Dossetti c’è la persona, inconcepibile come monade a se stante. Al contrario, ineludibilmente legata alle relazioni sociali, dalla famiglia allo Stato, senza le quali non sarebbe possibile convivenza alcuna. E ‘personalista’ è l’impianto concettuale della Costituzione repubblicana, tanto permeata dal contributo ideale e giuridico del Nostro.
Incastonate in questo mosaico alcune intuizioni, sulle quali ci aspettiamo ulteriori approfondimenti e ricerche. Il parallelismo – in Giliberti – tra il Partito d’Azione e l’azione politica di Dossetti, entrambi indisponibili a irregimentarsi in uno dei due campi della guerra fredda, epperciò entrambi fuori gioco politico. O anche – in Galavotti, Alemagna e Ferrari – le convergenze di fatto tra il ‘comunitarismo’ di Dossetti e quello di Adriano Olivetti confluenti nella grande intuizione del Libro Bianco, da cui, vale la pena di ricordarlo, presero avvio in tutta Italia le circoscrizioni e le municipalità. E Giliberti, al riguardo, segnala il filo ideale che da Maritain a Mounier porta a Dossetti. Un filo che, con il complemento di Simone Weil – ci permettiamo di aggiungere noi – arriva anche ad Adriano Olivetti.
1 comment
Grazie per la ricca e preziosa recensione del libro su Dossetti. Mario Chiaro direttore rivista Testimoni EDB
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