“L’universo (che altri chiamano la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali… Da qualunque esagono, si vedono i piani inferiori e superiori: interminabilmente”: così inizia questo racconto del 1941 inserito in “Finzioni” (1944). L’opera fu la prima a essere pubblicata in Italia, nel 1955, per la traduzione di Franco Lucentini.
«Io conosco dei distretti nei quali i giovani si prosternano davanti ai libri e baciano selvaggiamente le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo di avere citato i suicidi, ogni anno più frequenti. Forse mi inganneranno la vecchiaia e la paura, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi e che la Biblioteca sia destinata a permanere: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. Ho appena scritto infinita. Non ho interpolato quell’aggettivo per un’abitudine retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Coloro che lo ritengono limitato, sostengono che in luoghi remoti i corridoi e le scale e gli esagoni possono inconcepibilmente finire – il che è assurdo. Coloro che lo immaginano senza limiti, dimenticano che è limitato il numero possibile dei libri. Io mi arrischio a insinuare questa soluzione dell’antico problema: La biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore l’attraversasse in qualunque direzione, verificherebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). La mia solitudine si rallegra di questa elegante speranza.»
Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele.