Siamo restati in tanti la notte tra sabato e domenica scorsa incollati alla tivvù. In ansia per quanto stava accadendo nei cieli del Medio Oriente. Era partita la ‘punizione’ degli ayatollah iraniani contro Israele. Centinaia di droni, luminosi come stelle cadenti, rigavano quei cieli con destinazione Israele. Erano gli stessi droni Shaded-136 forniti dal regime iraniano a Putin e da questi utilizzati per fare strage di civili in Ucraina. Oltre ai droni da Teheran venivano lanciati, in modalità sincrona, anche missili ipersonici e Kheibar. Lo avevano promesso gli ayatollah quando, in violazione a tutte le norme del diritto internazionale, Israele aveva colpito con un suo missile il consolato iraniano in Siria, uccidendo Mohamad Reza Zahedi, 63 anni, il leader più anziano del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane, il suo vice Mohammad Hadi Rahimi ed altri sei loro collaboratori. È appena il caso di ricordare che ambasciate e consolati, in base al diritto internazionale, sono parte del territorio statuale dei Paesi di appartenenza. L’attacco di Israele, dunque, era stato tout court un attacco al suolo dell’Iran. Vadeh Sadegh (Vera Promessa), così i leader iraniani avevano denominato l’operazione lanciata contro Israele.
Quante distruzioni ci sarebbero state in Israele? Quanti morti? E quale sarebbe stata la replica di Israele, tanto orientata all’occhio per cento occhi e al dente per mille denti?
Stavamo così, con l’animo sospeso, a sentire i commenti e a seguire gli eventi. Ma le ore passavano e i droni non si vedevano nei cieli di Israele. Che fine avevano fatto? E i missili? Erano in viaggio. Quei droni avrebbero impiegato nove ore per raggiungere i bersagli programmati, e i missili due ore. Israele aveva perciò tutto il tempo per puntarli con i suoi infallibili sistemi di difesa. Alla fine non un missile è caduto sul suolo israeliano, tutti intercettati e distrutti addirittura fuori dell’atmosfera; e dei centocinquanta droni partiti da Teheran – in realtà i pasdaran ne avevano lanciati trecento, ma la metà era restata a terra per difetti di fabbrica – solo uno è sfuggito all’Iron Dome di Tel Aviv, cadendo nel Sudest del Paese e ferendo gravemente una bambina.
Stavamo assistendo ad una realtà o a una messinscena? Blinken aveva avvertito con tre giorni di anticipo che l’Iran avrebbe lanciato contro Israele centinaia di droni e missili balistici, fino ad indicare anche l’ora dell’attacco. Nella notte dell’attacco il nostro Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, rassicurava la Premier Meloni e le famiglie degli Italiani impegnati al confine israelo-libanese nella missione Unifil, che aveva avuto assicurazioni da Teheran che i nostri soldati non sarebbero stati colpiti. Il giorno dopo avrebbe anche comunicato alla Premier che gli Iraniani si sono anche impegnati a intercedere presso gli Houti dello Yemen acciocché risparmino le navi mercantili italiane dagli attacchi nel Mar Rosso. Segno di canali diplomatici non solo aperti, ma anche amichevoli.
Infine il rappresentante dell’Iran all’ONU e il Ministro degli Esteri di Teheran, all’unisono, dichiaravano che per loro era tutto finito lì. Se Israele non avesse a sua volta risposto con nuovi attacchi all’Iran, la questione poteva considerarsi chiusa. Già, ma Tel Aviv davvero non reagirà suo more in modo devastante? Vedremo, ma c’è da dubitarne. Israele teme più di tutto che Teheran raggiunga l’obiettivo di disporre dell’atomica. È pertanto determinata ad una guerra frontale oggi, prima che possa essere troppo tardi.
Ma registriamo le principali novità geo-politiche di queste ore.
Hamas il sette ottobre, nella certezza della reazione di Israele, aveva attaccato il suolo ebraico ed aveva trucidato milleduecento civili disarmati, prendendone in ostaggio altri duecentocinquanta. Aveva per tempo costruito tunnel e bunker sotterranei, quasi tutti collocati sotto ospedali, scuole, uffici pubblici – anche dell’ONU – e lì custodiva i propri miliziani e l’arsenale bellico. Se l’Idf avesse voluto dare loro la caccia sarebbe stata costretta a fare carneficina di civili palestinesi, come difatti è stato. Confidava Hamas che, a fronte della strage di innocenti palestinesi, le masse arabe del mondo intero si sarebbero sollevate ed avrebbero costretto i rispettivi governi a scendere in guerra contro Tel Aviv. Gli USA a quel punto sarebbero anch’essi intervenuti. Sarebbe stata la terza guerra mondiale, il vero obiettivo di Hamas. Russia, Turchia e Cina avevano di fatto dato il via libera alla provocazione e stavano a guardare senza muovere un dito per la pace. È in questo contesto che Antony Blinken, il Segretario di Stato USA, ha messo in campo le sue straordinarie doti diplomatiche. Instancabile ha fatto la spola tra Doha, Il Cairo, Tel Aviv, Ramallah, Ryad, Amman, Beirut, Bagdad, Istanbul. Ha minacciato e mediato, ammansito e blandito. Alla fine ha ottenuto che Hamas restasse isolata, salvo le razzie degli Houti nel Mar Rosso e qualche attacco di Hezbollah dal Libano. Ciò essendo peraltro costretto a muoversi il più delle volte in aperto dissenso da Netanyahu e dal suo governo.
La notte dei droni, infine. Proprio mentre Teheran li lanciava, Giordania ed Arabia Saudita non solo si dichiaravano contrarie a quell’azione, ma intervenivano anche militarmente in aiuto di Israele e dei suoi alleati USA, UK e Francia, impegnati a neutralizzare l’attacco.
Ed ora, mentre Teheran fa i conti col suo fallimento militare e politico, si sta formando una formale alleanza militare tra nazioni arabe sunnite, Israele e USA in funzione antisciita. Impensabile fino a pochi mesi fa.
Signori, Mr. Antony Blinken merita il Nobel per la pace!