Prendendo le mosse dai recenti tragici fatti di cronaca, in tanti ci hanno ripetutamente chiesto di intervenire sul problema della diffusione dell’alcol tra gli adolescenti, per offrire il nostro (modesto) contributo ad un propositivo dibattito ed essere di sprone a quanti si occupano, o dovrebbero farlo, della questione.
Finora siamo stati restii a dire la nostra, perché non abbiamo ricette da proporre né colpe da attribuire e il rischio di dire banalità o peggio è altissimo. Dubito ergo sum, diceva il filosofo riposizionando il cogito cartesiano.
Poi, però, abbiamo letto di tutto sui giornali. Colpa della scuola, no delle famiglie. Date meno soldi ai ragazzi, siate autoritari. Da ultimo addirittura un invito alle mamme a fare le mamme, che concretamente significherebbe non andare in giro fra parrucchieri e palestre, non farsi l’aperitivo e stare in casa offrendo ai figli un modello positivo.
Questo ci ha convinti che fosse venuto il momento di dire la nostra, perché se passa il messaggio che il ragazzino si ubriaca perché la mamma esce abbiamo tutti un problema da mille lire.
Proviamo innanzitutto a definire i soggetti. Gli adolescenti si caratterizzano per essere in una fase evolutiva della vita, di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Tempeste ormonali, ricerca di sé stessi, conflittualità con l’autorità, tentativo di marcare il territorio, di scoprire sin dove si può arrivare. Estrema fragilità, estrema permeabilità ai messaggi esterni agli ambiti istituzionali. Spesso sensi di colpa, vergogna, inadeguatezza. Si suda nel corpo e nella testa.
Non tutti la vivono nello stesso modo, pochissimi maturano uniformemente, molti non la superano mai del tutto. L’adolescenza è poi diversa tra maschi e femmine, tra ricchi e poveri. È influenzata da fattori naturali, ambientali, sociali e via dicendo.
Un tredicenne che fa una stesa nel suo quartiere è violento e pericoloso, ma non per questo meno fragile di altri. Un bravo ragazzo che va bene a scuola non è meno esposto al rischio di farsi un bicchiere e cadere dal motorino. Genitori che vivono insieme non necessariamente tutelano più di genitori separati.
Quante differenze, che rendono evidentemente difficilissimo definire un modello educativo universale.
L’altro soggetto è l’alcol. Fa male e basta, a tutte le età. Per gli adolescenti è veleno. Gli enzimi per metabolizzarlo svolgono pienamente la loro funzione non prima dei 20/21 anni. I danni epatici e neurologici (il cervello raggiunge la completa maturazione a 21 anni) sono devastanti, ogni bevuta distrugge in modo irreversibile migliaia di neuroni, che non si rigenerano.
Prima di intossicarsi, i giovani riescono a ingerire più alcol degli adulti e quindi abusano più facilmente e magari inconsapevolmente. Nelle donne i danni sono più gravi e si ubriacano prima, cioè con minori quantità. Ancora differenze.
Cirrosi epatica, patologie neoplastiche, epilessia, atrofia cerebrale, psicosi e si potrebbe continuare, per esempio con i danni alla sfera sessuale. E’ necessario accennare alla correlazione con il fumo e l’uso di droghe o alla epidemiologia degli incidenti stradali?
Eppure, l’alcol fa parte della storia dell’umanità, della nostra dieta comune e un bicchiere di vino non è una vodka. Cosa è cambiato? Cosa ha determinato questo grave allarme alcol tra i giovani?
E’ cambiata l’offerta. Fiumi di superalcolici a basso costo hanno sostituito il tradizionale vino durante i pasti proprio della dieta mediterranea. Come quando una volta i tabaccai vendevano le sigarette sfuse. Spaccio legale.
Uno shot (sarebbe un cicchetto detto alla moderna) costa un euro, forse due, e non hai bisogno di cercarti il pusher. Il localino sta lì di fronte a te, insieme ad altri cento, accattivante, trendy, un sacco fico. Difficile difendersi, difficile ordinare un bicchiere d’acqua.
Un primo intervento potrebbe essere, allora, quello di cominciare a controllare la vendita. Eseguire controlli a tappeto sui locali, i bar, i ristoranti, i negozi, i supermercati e chiudere veramente quelli che vendono alcol ai minorenni. Tassare i superalcolici, imporre una politica dei prezzi. Contrastare il mercato.
Poi, certo, l’informazione. La scuola. Così concentrata sull’insegnamento aprioristico del rispetto delle regole, piuttosto che sulla formazione di coscienze critiche. Ma solo con la capacità di dubitare, di valutare, di opporsi, si acquisiscono gli strumenti per resistere e controllarsi, per dire no. Al professore, al padre, ma anche all’alcol, agli abusi in genere.
E’ un lavoro arduo, ce ne rendiamo conto, ma ineludibile. Forse insegnanti più inclusivi, più maestri che docenti, più complici e meno giudici, faciliterebbero il naturale processo di maturazione (esame di maturità, non a caso). Fatele due chiacchiere ogni tanto con i vostri studenti, parlate pure di alcool, raccontate loro di cosa si tratta, ascoltando anche, imparando a vostra volta. Questa si sarebbe un’informazione corretta e utile.
E noi? Noi genitori? E’ notorio che sbagliamo sempre. Ai miei tempi volavano sberle e cinghiate, si consumava meno alcol, ma tanta droga. Perché il problema è sociale e fuori dalla nostra portata? Forse. Perché siamo più soli dei nostri figli? Forse anche questo. Non so.
So che a stringere l’acqua nelle mani non resta niente. Bisogna tenere il palmo aperto per riuscire a portarla alla bocca.
di Flavio Cioffi