Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), per la Parte italiana, e il Ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) per la parte israeliana, hanno avviato le procedure per la selezione di progetti di ricerca per l’anno 2024, scadenza 10 aprile. Il senato accademico dell’Università di Torino e poi quello di Siena non hanno ritenuto opportuna la partecipazione alla selezione visto il protrarsi della situazione di guerra a Gaza. A spingere in tal senso sono stati collettivi ed associazioni studentesche che in una lettera aperta chiedevano al ministro Tajani di sospendere il bando. Motivazione: rischio di finanziare la ricerca in tecnologia dual use, cioè a scopo civile e militare. L’università di Torino ha in realtà ben nove accordi di collaborazione e gli studenti dei collettivi avevano chiesto la loro totale sospensione, ma il senato accademico ha ritenuto opportuno votare la mozione relativa solo al prossimo.
Il Rettore di UniTo Stefano Geuna ha sottolineato che nella scelta non esistono boicottaggio né deriva antisemita, ma che il voto contrario riguarda solo quello specifico bando.
La Scuola Normale Superiore di Pisa, invece, ha dichiarato che con questo gesto ha inteso dimostrare non solo concretamente la propria solidarietà, ma riflettere criticamente sulle ramificazioni del proprio lavoro, ispirandosi all’articolo 11 della Costituzione che prescrive il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Sono scoppiate le polemiche e in particolare l’Associazione degli Amici della Scuola Normale Superiore di Pisa ha mostrato il proprio sconcerto, ritenendo che istituzioni universitarie come la Normale debbano piuttosto, nel rispetto delle opinioni dei singoli, preoccuparsi di valorizzare sempre la scienza, la cultura e l’arte come elementi di dialogo e di raccordo universale.
Posizioni diverse, polemiche sostanzialmente politiche. Di fatto il dramma della Palestina non passa sotto silenzio, per cui anche attività apparentemente rivolte al solo studio sono usate come elementi di contestazione della politica israeliana che sta massacrando vittime innocenti.
Soffermiamoci, però, sulla tecnologia dual use e sui rischi della ricerca quando essa interessa anche il campo militare. Il fine primario della scienza è di ricercare il bene dell’umanità. Ovviamente cattivi usi sono sempre dietro l’angolo e questo in linea teorica non dovrebbe fermare la ricerca. Ma in un momento così drammatico nella storia dell’umanità come si può serenamente continuare ad essere ricercatori in ambiti delicati quando davanti agli occhi scorrono immagini strazianti? Il problema già emerse nell’ambito della ricerca in fisica atomica e nucleare nel periodo della seconda guerra mondiale, si è riproposto dopo l’11 settembre nell’ambito delle biotecnologie. Ci sono quindi settori di studio particolarmente sensibili, particolarmente soggetti ad un uso diverso da quello di partenza. In tal senso, quindi, una scelta oculata su quale settore avviare una collaborazione fattiva tra gli Stati sembra una scelta saggia. Il fisico Oppenheimer, messo a capo del progetto Manhattan, si vide poi negare il nulla osta di sicurezza. Fu messo nella condizione di non nuocere per favorire il nuovo corso della politica americana sulle questioni nucleari, una politica disinibita e come sappiamo distruttiva. In questo caso scienza vs politica. Ed è forse proprio per non trovarsi in situazioni simili che le nostre Università hanno preso posizione. Le tensioni geopolitiche non consentono una mossa falsa. Il confine tra un uso corretto o meno della scienza è più che mai labile.