In questo saggio del 1944, pubblicato in Italia in appendice a “Per una morale dell’ambiguità (1947), Simone de Beauvoir anticipa il suo particolare esistenzialismo applicandolo alla letteratura e nella prospettiva di un’etica della libertà.
«Plutarco racconta che un giorno Pirro elaborava piani di conquista. “Noi per prima cosa sottomettiamo la Grecia”, diceva. “E dopo?” Disse Cinea. “Noi conquisteremo l’Africa.” “Dopo l’Africa?” “Passeremo in Asia, conquisteremo l’Asia Minore, l’Arabia.” “E dopo?” “Andremo fino in India.” ” E dopo le Indie?” “Ah! disse Pirro, io mi riposerò.” “Perché, disse Cinea, non riposarsi subito?”
Cinea sembra saggio. Perché partire se si vuole tornare? Cosa iniziare se devi fermarti? Eppure, se prima non decido di fermarmi, mi sembrerà ancora più inutile andarmene. “Non dirò A”, dice ostinatamente lo scolaro. “Ma perché?” “Perché dopo dovremo dire B.” Sa che se comincia non finirà mai: dopo la B ci sarà tutto l’alfabeto, le sillabe, le parole, i libri, gli esami e la carriera; ogni minuto un nuovo compito che ti catapulterà verso un nuovo compito, senza sosta. Se non finisce mai, perché iniziare? Anche l’architetto della Torre di Babele pensava che il cielo fosse un soffitto e che un giorno lo avrebbe toccato. Se Pirro potesse estendere i limiti delle sue conquiste oltre la terra, oltre le stelle e le nebulose più lontane, fino a un infinito che gli fugge incessantemente davanti, la sua impresa sarebbe insensata, il suo sforzo si disperderebbe senza mai raccogliersi in nessun fine. Alla luce della riflessione, tutto Il progetto umano appare, quindi, assurdo, poiché non esiste se non assegnando dei limiti, e quei limiti possono sempre essere oltrepassati chiedendosi con disprezzo: “Perché proprio qui? Perché non oltre? Per quale ragione?”»
Simone de Beauvoir, Pyrrhus et Cinéas.