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LE CITAZIONI: Quinzio, il nuovo modo di essere “prossimo”

by Ernesto Scelza
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Nel commento di Sergio Quinzio la prossimità amorevole del “tale” mezzo morto col samaritano si contrappone alla “prossimità per appartenenza” col sacerdote e col levita. Quinzio pone il suo commento sulla soglia del nuovo caos, di quel succedersi dell’ordine profano all’ordine sacro che è il corso stesso della storia, nell’attesa di un “andare oltre a sacro e profano”.

«Nell’antico Testamento “prossimo” è chi appartiene al popolo di Israele, chi ci sta accanto nella vita tribale, compreso anche lo straniero che abita in mezzo al popolo: colui, insomma, con il quale si può stabilire un tangibile vincolo di tenerezza. La domanda “chi è il mio prossimo?” che il “dottore della Legge” pone al Messia è giustificata dal fatto che al tempo di Gesù Israele non viveva più la vita tradizionale delle sue tribù. La Palestina era ormai una terra ellenizzata, con sovrani e sacerdoti asserviti allo straniero idolatra: in tali condizioni, che sono anche le nostre, “chi è il mio prossimo?”.

La parabola del Messia risponde che non esiste più un prossimo dato, riconoscibile, che la Legge possa individuare e definire. Chi è il prossimo in un mondo di lupi (Matteo 10, 16), in una generazione maledetta (Matteo 16, 4) sulla quale sta per cadere il giudizio di Dio? Non esiste più “prossimo”, tutti sono lontani l’uno dall’altro; diventa perciò “prossimo” colui al quale ci approssimiamo, in un capovolgimento analogo a quello per cui la peccatrice non è perdonata perché ama, ma ama perché è perdonata. Il bisogno di prossimità ricrea il “prossimo” che il mondo ha distrutto, poiché non c’è più un popolo bisogna suscitarlo con il proprio desiderio.

Ma al desiderio di rendersi prossimi, di cercare fratelli, che nasce dalla consapevolezza di essere separati, lontani, di non essere ormai più un popolo, si frappone un ostacolo: l’ordine sacro, che appunto esclude tale consapevolezza, perché chiude il suo recinto nella finzione che all’interno ci sia ancora il popolo di Dio in cui ciascuno è prossimo all’altro in scialòm uvracà. L’ordine sacro impedisce di vedere la desolazione dei piagati lungo la strada che da Gerusalemme discende verso il luogo infimo del mondo invertendo il cammino che da Gerico aveva iniziato a salire verso Gerusalemme. L’ordine sacro vela l’orrore del mondo, impedisce di sentire pietà. Neppure questa del ‘buon samaritano’ è una parabola ‘morale’. Sono il sacerdote e il levita che non soccorrono il viandante abbandonato “mezzo morto” dai briganti, ed è un samaritano a soccorrerlo, uno di quei samaritani che sono stranieri e non “prossimo”, ai quali, secondo l’ordine del Messia, non doveva essere neppure annunciato il Vangelo del regno. Sacerdote e levita passano oltre tenendosi scrupolosamente discosti dall’uomo abbandonato lungo la strada nel quale s’imbattono. Se fosse morto, infatti, il contatto con il cadavere li renderebbe impuri…»

Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia.