Che il globo fosse divenuto una polveriera dopo il fatidico 1989 lo sapevamo ormai, ma lo avevamo dimenticato, malgrado le due guerre del golfo, l’ex Jugoslavia, le Torri gemelle, l’Afghanistan, la Libia, la Siria, e l’endemico conflitto israelo-palestinese. Oggi al diapason. Il risveglio c’è stato drammatico, con la guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022. E’ stato lì che uno dei tanti conflitti interetnici e civili lungo la linea di faglia est-ovest, è degenerato in una guerra geopolitica che vede coinvolti dall’esterno gli USA e la UE, Euro NATO e la Russia di Putin. Non ripercorreremo la storia di questa guerra ancora in corso che ha saldato in alleanza scolpita nella pietra Cina e Russia, e dislocato l’Occidente sul fronte opposto, ma incapace fin qui sia di far prevalere le ragioni nazionali nord ucraine, sia di isolare la Russia dai paesi arabi ed emergenti che rappresentano tre quarti di mondo e non partecipano alle sanzioni contro la Russia.
In questo scenario drammatico, e ancora sospeso e in bilico su guerra dei mondi guerreggiata, emerge un attore ben noto eppure per un po’ in sottofondo. Parliamo dell’Isis stato islamico, che ha rivendicato l’atroce mattanza di Mosca il cui bilancio supera attualmente le 92 vittime. Che accade? Accade che l’estremismo sunnita apparentemente sconfitto nel tentativo di eliminare Assad in Siria su impulso USA e con altre forze, ricompare. E, sospinto dalla radicalità dello scontro con Israele, trova la forza e la “geometrica potenza” di colpire alle spalle una Russia esposta in guerra e all’ offensiva sul fronte ucraino. Generando contraccolpi imprevedibili. Giova intanto ricordare che la Jihad islamica è ben presente ancora in Cecenia e nelle repubbliche asiatiche mussulmane fino a proiettarsi nel cuore multietnico della Federazione Russa. E il tutto con un intreccio inestricabile di complicità e legami, sia con i potentati sunniti arabi sia con la potenza iraniana, entrambi alleati e concorrenti con Russia sul terreno geo politico e dell’ OPEC. Amici e però interessati a indebolire la Russia di Putin, in un grande gioco che rischia davvero di degenerare, nel quadro di un ordine/disordine del mondo fuori controllo, e con il grande scontro in prospettiva USA Cina attorno a Taiwan e al dominio del Pacifico.
Ebbene, in questo quadro veramente allarmante e tragico ci si chiede: che ruolo sta giocando l’Europa secondo il vecchio andante “gigante economico e nano geopolitico”? Nullo si direbbe dal punto di vista diplomatico fin qui, e addirittura rovinoso su quello delle scelte economiche, direttamente e almeno in parte tese ad esasperare le tensioni ad est. Sul piano militare senza dubbio. Infatti i recenti vertici UE a 27, pur tra divisioni marcate, mostrano una linea di tendenza rovinosa. Non solo la UE divisa mostra impotenza e non volontà di pace magari in sintonia con la Cina per secondare un nuovo e più equilibrato ordine mondiale, e meno anarchico. Ma addirittura soffia sul fuoco di una economia di guerra volta a riorganizzare la propria economia in chiave di keynesismo militare. Con velleità addirittura di aggirare i trattati sull’indebitamento fin qui violati solo dalla pandemia e relativo Pnrr.
Accade infatti che in special modo Francia, paesi baltici, parte della Germania, Cechia, Polonia e dall’esterno Gran Bretagna e Norvegia, premano per un gigantesco piano militare non già finalizzato ad un esercito UE di interposizione tra aree. Bensì indirizzato al sostegno della guerra in Ucraina. Fin qui dice Borrell, alto rappresentante esteri della UE, sono stati infatti erogati 30 miliardi in armamenti per Kiev, e sempre a detta sua l’obiettivo diventa quello di 20 miliardi per il 2024. Si tenta insomma di forzare i trattati sia col ricorso alla Banca Europea degli investimenti, sia con l’apertura di un capitolo di bilancio comunitario, sia infine con accordi tra singoli paesi e senza escludere Euro Bond, con il sistema 60 e 40 in prospettiva. Il 40 per cento degli investimenti per industria bellica europea, e il 60 fuori e in gran parte americana.
Del resto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyn aveva a chiare lettere parlato di preparazione civile alla guerra ad est, e approntamenti bellici alla stregua di piani vaccinali. A nostro avviso una follia antropologica e geopolitica, fin qui rientrata dopo le sortite di Macron su interventi diretti in Ucraina e il diniego di Scholz all’invio dei missili Taurus da crociera. Ordigni in grado di raggiungere Mosca e trascinare il centro Europa tutto in un conflitto fuori controllo anche per la gioia degli estremisti alla Medvedev. Fin qui tuttavia c’è stato poco margine. E anche gli attentati a Mosca parrebbero indurre alla prudenza. Si parla per ora di un fondo di 1 miliardo e mezzo per Kiev. Di un milione di proiettili dalla Cechia, e infine della confisca dei rendimenti dei fondi russi. All’incirca tre miliardi. Cosa che gli USA si guardano bene del fare vista la loro attenzione alle regole della finanza, e scelta che anche nella Ue resta problematica, vista la mole e il parterre internazionale degli investitori interessati . C’è poi la ferma opposizione della Germania e del paesi virtuosi agli Eurobond di guerra, una misura che rischia di indebolire l’Euro e di frustrare tutto il lavoro per contenere l’inflazione. Senza dire del rifiuto slovacco, ungherese e anche ispanico e italiano a quello che sarebbe un vero piano Marshall di guerra, tale da archiviare per sempre Green deal, risanamento debito sovrano e politiche sociali.
Il tutto alla vigilia di elezioni che possono incrinare a vantaggio delle destre sovraniste l’intera architettura politica della costruzione europea. Ci sarebbe da chiedersi quale intrico di interessi e convenienze spinga l’asse Franco semi Tedesco verso una strategia così divisiva e rovinosa per l’Europa, tutta contraria alla sua vocazione mediana e ai suoi interessi. Ma il discorso richiederebbe una analisi ben più approfondita e radicale tra una sponda e l’altra dell’Oceano. E la rimandiamo ad un altro momento. Non senza aggiungere un ulteriore e inquietante elemento: l’appello ultimo di Ursula von der Leyen alla ripresa del nucleare civile. Una tecnologia abbandonata, dalla Germania al Giappone, per gli alti costi e la sua obsolescenza in prospettiva, stanti ormai gli acclarati progressi dei reattori a fusione fredda a idrogeno. E per di più obiettivo plausibile di terrorismo e guerra asimmetrica. Insomma siamo sdraiati e non seduti su un vulcano, ma questa Europa non solo non fa nulla per proteggerci. Ma ci spinge tutti appassionatamente nel cratere.