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Ardone ad Arcimovie per “C’è ancora domani”

by Piera De Prosperis
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Alla proiezione del film della Cortellesi C’è ancora domani, martedì 5 marzo al cinema Pierrot di Ponticelli nell’ambito della rassegna del cineforum Arcimovie, la scrittrice e sceneggiatrice Viola Ardone è intervenuta in sala per presentare l’opera. La Ardone è partita da una riflessione confortante, le donne nella scrittura sono oggi numerose e rappresentano una potenza viva e vitale. Sta sparendo il concetto di quota rosa: non si invita più una donna autrice per riempire una casella vuota. Donne scrittrici, sceneggiatrici, registe sono una forza consistente nel panorama culturale mondiale. E’ l’idea imprenditoriale della cultura che è ancora invece fortemente maschile ed è lì che le sfumature di colore devono sempre più volgersi al rosa. Il film della Cortellesi anche in questo rappresenta una piccola rivoluzione nel panorama cinematografico perché l’autrice ha partecipato a tutti i ruoli. Il tema del film, la violenza/i rapporti di forza all’interno della famiglia e della società fanno di C’è ancora domani un film scandaloso nel senso pasoliniano del termine. Cioè in esso si evidenzia il rifiuto categorico della conoscenza. Ivano e gli altri uomini del film (ma non tutti), rappresentano la testarda certezza degli incerti che tanti danni ha fatto nella società in tutti i tempi.

La Ardone, poi, ha sottolineato come nei suoi libri per parlare del presente abbia rivolto lo sguardo a quella seconda metà del secolo scorso dove ancora profondamente radicati erano pregiudizi e consuetudini. Per parlare del presente bisogna partire da lontano perché il diritto, la legislazione cambiano ma la mentalità dei singoli è molto più difficile da cambiare.

Appassionato e profondo l’intervento della Ardone, per altro docente in scuole dell’hinterland napoletano, dove lavorare sulla mentalità dei giovani è azione prioritaria della didattica. Anche tra i suoi alunni il film ha riscosso molto successo e suscitato tante domande.

Per noi spettatori anziani il film è stato come un tuffo in un passato non vissuto direttamente ma attraverso le vicende e i racconti dei nostri nonni. In quante famiglie apparentemente normali la violenza maschilista aleggiava e la sottomissione e connivenza delle donne di famiglia tendeva a perpetrare quei modelli sociali. Nel film si apprezza soprattutto la solidarietà femminile silenziosa ma forte tra amiche, semplici conoscenti, madre/figlia che si compatta poi nel voto liberatorio del 1946.

Ultimo affronto al voto femminile è presente nell’edizione del 2 giugno 1946 del Corriere della Sera, nell’articolo intitolato “Senza rossetto nella cabina elettorale” con il quale invitava le donne a presentarsi presso il seggio senza rossetto alle labbra. La motivazione è così spiegata: “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio.