Hannah Arendt, riflette sul fondamento della libertà e del potere, a partire dal passo del “Logos tripolitikos” di Erodoto in cui Otane afferma: “Non voglio né comandare né essere comandato. E la condizione a cui ritiro le mie aspirazioni al potere è appunto questa, di non dover subire il potere di alcuno di voi; né io in prima persona, né i miei discendenti, per sempre”.
«La pólis si distingueva dalla sfera domestica in quanto si basava sull’uguaglianza di tutti i cittadini, mentre la vita familiare era il centro della piú rigida disuguaglianza.
Essere liberi significava sia non essere soggetti alla necessità della vita o al comando di un altro sia non essere in una situazione di comando. Significava non comandare e non essere comandati. Nella sfera domestica, dunque, non esisteva libertà; il capofamiglia era considerato libero solo in quanto aveva il potere di lasciare la casa e accedere all’ambito politico, dove tutti erano uguali. In verità questa uguaglianza realizzata nella sfera politica ha ben poco in comune con il nostro concetto di uguaglianza: presupponeva infatti che si vivesse con i propri pari, che si avesse a che fare solo con essi, e che esistessero degli “ineguali” che, di fatto erano sempre la maggioranza della popolazione di una città-stato. Perciò l’uguaglianza, lungi dall’essere connessa con la giustizia, come nell’epoca moderna, era la vera essenza della libertà: essere liberi voleva dire essere liberi dalla diseguaglianza connessa a ogni tipo di dominio e muoversi in una sfera dove non si doveva né comandare né essere comandati.»
Hannah Arendt, Vita activa.