Lo si gridava in tanti negli anni Settanta e Ottanta, non solo in Italia: Yankee go home! via la NATO dall’Italia! Ora da rivendicazione è diventata una minaccia. Chiudiamo oggi, con la politica estera, la nostra rassegna sui temi delle prossime elezioni europee.
Se Donald Trump vincerà le elezioni a novembre e se manterrà la sua ‘promessa elettorale’ di ritirare gli USA dall’Europa, che ne sarà dell’Unione Europea?
In realtà per ora questi sembrano più avvertimenti volti a sollecitare e a pretendere il versamento delle quote dai ‘soci morosi’ della NATO – tra i quali l’Italia – che non una prospettiva concreta. E non solo perché non è mica detto che il tycoon vincerà le elezioni. Siamo proprio sicuri che il suo establishment non capisca il rischio enorme per gli USA della potenziale formazione di uno spazio comune, economico e politico, tra Europa Occidentale e Russia?
Anni fa, inizio era di Putin al Cremlino, UE e Russia avevano addirittura avviato colloqui per verificare la possibilità di un’eventuale adesione della Russia nell’Unione Europea. Furono gli USA ad attivarsi per scongiurare ogni avvicinamento tra Ovest ed Est Europa, frapponendo ostacoli di ogni sorta. Poi la follia neo-zarista di Putin, che prima ha fomentato i russofoni d’Ucraina, poi ha invaso quello che ritiene essere il suo ‘giardino’, infine ha rotto i ponti con l’Occidente consegnandosi a Xi Jinping, ha chiuso ogni discorso. Lo scenario però cambierebbe rapidamente qualora gli USA, soci di maggioranza della NATO, si disimpegnassero davvero dalla scena europea, a cominciare dall’Ucraina.
Le istituzioni europee del prossimo quinquennio saranno dunque chiamate a fronteggiare questo eventuale nuovo scenario; oltre che quello attuale, già di per sé più che inquietante, con un conflitto devastante nel cuore del continente ed uno nel vicino Medioriente che rischia di coinvolgerci direttamente.
Fino a cinque anni fa – elezioni del 2019 – la politica estera dell’UE non era tra le preoccupazioni rilevanti degli elettori. Lo sguardo era tutto rivolto all’interno: Europa dei Popoli o delle Nazioni, politiche economiche e finanziarie, coesione e convergenza tra i vari Stati membri con le relative spinte centrifughe, vedi Brexit, poteri della burocrazia e vincoli giuridici. L’incolore immagine dell’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, e dei suoi predecessori – li ricordate, vero? – era l’esplicitazione icastica dell’inconsistenza della politica estera dell’UE.
Poi l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, la pressione dei migranti ai confini dell’Unione, i complicati rapporti con la Cina, le minacce di apertura di un nuovo conflitto nei Balcani, il 7 ottobre ‘23 in Israele e la rabbiosa risposta di Netanyahu, ultime le tensioni nel Mar Rosso con le minacce dirette all’Italia da parte degli Houthi dello Yemen, hanno svegliato anche gli spiriti più sopiti. Ci si interroga quindi sull’esigenza – imprescindibile o meno – di una maggiore coesione dell’UE nella gestione dei rapporti internazionali.
Pace o guerra, azione preminentemente diplomatica o sostegno diretto ai popoli alleati anche con la fornitura di armi, formazione di un embrione di forze armate europee, senza di cui non ci potrà mai essere una politica estera autonoma dell’UE, con conseguenti costi o ciascuno per proprio conto? Questi, grosso modo, gli interrogativi ai quali dovremo rispondere nella nostra coscienza e col nostro voto il prossimo 9 giugno.
Lo avvertiamo tutti, l’Europa è minacciata. Sotto tiro. Non è una metafora, lo sono le nostre case, i nostri giovani, il nostro welfare, il nostro stile di vita. Rischiamo di essere stretti in una tenaglia. Da una parte gli USA, che potrebbero defilarsi nel contempo agendo per lo smembramento dell’UE – lo abbiamo già visto col primo Trump – dall’altra la Russia che fa pressione ai confini orientali. E con il fondamentalismo islamico già nelle nostre mura.
A proposito di tenaglia, proprio nei giorni scorsi abbiamo registrato due dichiarazioni per molti aspetti convergenti. Da una parte Trump, che ha riesumato una sua vecchia presa di posizione. A suo dire, con lui alla Casa Bianca, in caso di un attacco da parte della Russia, gli Stati Uniti non difenderebbero un paese della Nato che fosse moroso, aggiungendo poi: “Anzi, incoraggerei i Russi a fare quello che vogliono. Dovete saldare i vostri debiti!”. E uno dei suoi più stretti collaboratori, il giornalista Tucker Carlson – di lui si dice che farà parte del ticket di Trump per le presidenziali come candidato Vicepresidente – ha raccolto un lungo proclama di Putin sulla sua visione del mondo, propinandola agli Americani come ‘intervista’. In essa Putin non ha mancato di rivolgere espressioni di amicizia e di stima verso il tycoon, prefigurando una possibile intesa tra i due dopo il voto USA di novembre.
Dall’altra parte, da Kaliningrad, una volta Königsberg, la città nativa di Emmanuel Kant ed oggi enclave russa sul Baltico, il governatore in carica, Anton Alikhanov, ha rivisitato la storia d’Europa alla maniera ‘russo-putiniana’. Per lui le opere di Kant hanno contribuito a una “situazione sociale e culturale in cui l’Occidente ha violato tutti gli accordi che erano stati raggiunti. […] Nella Critica della ragion pura e nelle Fondazioni della metafisica della morale […] si trovano i fondamenti etici e valoriali che hanno portato al conflitto attuale” (sic!).
Secondo lui “il blocco occidentale è un ‘impero di menzogne’ e Kant ne è stato il padre ‘in quasi tutto’, compresa la libertà, lo Stato di diritto, il liberalismo, il razionalismo e persino ‘l’idea dell’Unione Europea’” (ancora sic!).
Su questo Alikhanov ha ragione, Kant è davvero uno dei padri dello Stato di diritto. Ma forse qualche ragione ce l’ha anche la premier della Lituania, Ingrida Simonyte, quando avverte l’Occidente che, se Putin non verrà fermato, dopo l’Ucraina toccherà all’Europa Occidentale.
Fantasie? Paranoie? Lo erano anche quelle di Cassandra!