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L’Europa tra sovranismo autoritario e globalismo multinazionale

by Vito Nocera
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Anche la triste vicenda che coinvolge una giovane donna – che abbiamo visto in un tribunale ungherese in catene – così come le proteste degli agricoltori in questo momento a Bruxelles, ripropongono la grande questione di che cosa è questa Europa.

Una Unione ormai sballottata tra le due grandi spinte contrapposte del sovranismo autoritario da un lato e del globalismo multinazionale dall’altro. Uno spazio europeo in cui ormai da tempo manca ruolo e presenza delle grandi culture politiche riformatrici, quella cattolico democratica e, soprattutto, quella del Movimento Operaio.

Questa assenza fa di questa Europa il terreno di scontro tra l’impianto globalista e neoliberista: quello dell’unione monetaria senza politica, dell’austerità finanziaria, del grumo burocratico che fuori da ogni controllo democratico emette prescrizioni spesso astratte. E il nuovo sovranismo aggressivo: quello che raccoglie in chiave nazionalista tutte le istanze sociali che, a torto o a ragione, vivono con disagio le direttive europee che, dal clima all’agricoltura, dalla crisi industriale alla transizione ecologica, rischiano di avere pesanti ricadute concrete sulle popolazioni.

Una Europa così, quale che sarà l’esito del prossimo voto, non serve allo sviluppo sociale e civile dei Paesi membri. E non è in condizione di svolgere il ruolo, che sarebbe oggi necessario, di interposizione e mediazione nelle grandi e pericolose contese geopolitiche che riattraversano il globo. Sta qui in qualche modo la radice anche dell’immagine della ragazza in catene di cui si discute in queste ore.

Una parte dell’Unione, negando di fatto se stessa, è del tutto allineata al tradizionale alleato americano. Un’altra sua parte – peraltro aggregata all’Unione senza un orizzonte effettivo ma per puri interessi mercantili – guarda per metodi e cultura a potenze contrapposte. L’Unione è di fatto lo specchio fedele dei Paesi che la compongono.

Prendiamo, ad esempio, l’Italia. La dinamica in atto è la stessa. Qui, al contrario della UE, sovranisti al governo e blocco global-liberista che si oppone. Ovviamente è chiaro che le cose non sono così schematiche, in entrambi i campi vivono grandi contraddizioni e conflitti. Nell’essenziale però questo è il quadro. Ne deriva una riflessione obbligata. Senza il ritorno in campo di grandi forze sociali e politiche vere, l’Italia (come la Francia e altre nazioni) e l’Europa continueranno a schiacciarsi ora da un lato ora dall’altro. Senza la possibilità di esprimere una vocazione che non sia né nazional-sovranista, né global-liberista. Sarebbe questo il percorso di una Europa nuova, fondata sul lavoro e su un moderno welfare, e che contenga al suo interno l’occidente e l’oriente e la cura del Mediterraneo e di tutto ciò che vi accade.

Chiaro che questo vale anche per le politiche della giustizia. Paesi come l’odierna Ungheria mostrano approcci inaccettabili e brutali tanto più se sono parte della Ue. Il discorso però – anche se ovviamente in forme diverse – non esclude del tutto Paesi come il nostro ed altri. Dove abbiamo visto, tra gli applausi dell’informazione democratica, trascinati in manette non solo Carra 30 anni fa. Ma, fino all’altro ieri, sindaci appena appena indagati prelevati sull’uscio di casa in manette per essere condotti al carcere preventivo, con intorno lo schieramento di stampa, web e TV. Per non dire delle forzature nelle inchieste o delle condizioni di molte carceri, non solo da noi ma anche, ad esempio, nel civilissimo Belgio.

Una Italia e una Europa diverse, socialmente solidali, autenticamente democratiche, amiche ma indipendenti da qualsivoglia altra potenza mondiale, restano però al momento solo un sogno di inizio febbraio. Senza grandi soggetti sociali reali – un nuovo movimento operaio da ritrovare pazienti nel lavoro contemporaneo – e forze politiche organizzate autenticamente riformatrici. Senza una interrogazione intellettuale veramente critica che, fuori da politicismi ed elettoralismi di bandiera, lavori con serietà per questo esito. Non avremo risultati, rischiando l’abbandono allo spinoziano né ridere né piangere.

E continueremo a vedere, in Ungheria o da noi, cose inaccettabili. Illudendoci di fare la rivoluzione fianco a fianco con Elkann, Cairo e De Benedetti. O al contrario, come nel caso del pessimo Conte, perfino con Trump.