I fratelli Tiberio e Gaio Gracco, tribuni della plebe pur membri dell’aristocrazia patrizia, si intestarono le istanze della cittadinanza e promossero una riforma agraria che ponesse nuovamente i romani al centro della Repubblica. Entrambi finirono uccisi su mandato degli avversari politici toccati nei loro interessi dalle riforme: come -secoli dopo- i fratelli John e Bob Kennedy, secondo alcuni. Plutarco in questo passo ci dice della legge agraria proposta da Tiberio e del forte legame del tribuno con il popolo che subisce le conseguenze delle guerre.
«Sembra che mai legge più mite e più benigna sia proposta contro tanta ingiustizia e avidità. Infatti a coloro che avrebbero dovuto essere puniti per la loro disobbedienza e restituire, pagando una multa, la terra da cui traevano profitti illegalmente, si imponeva di uscire dai possedimenti ingiustamente acquisiti, ricevendo in più un indennizzo, e di accogliervi i cittadini bisognosi. Ma, sebbene la riforma fosse così mite, il popolo era lieto di dimenticare il passato pur di cessare di subire ingiustizie per il futuro; i ricchi e i possidenti, invece, ostili alla legge per avidità e indotti dall’ira e dall’ostinazione a odiare il legislatore, cercavano di dissuadere il popolo, facendo credere che Tiberio volesse indurre alla ridistribuzione di terre per sconvolgere lo Stato e attuare una completa rivoluzione. Non ottennero tuttavia alcun risultato: Tiberio, infatti, che si batteva per un disegno bello e giusto con un’oratoria che avrebbe potuto far apparire bella anche una causa meno nobile, era potente e invincibile quando si presenta alla tribuna circondato dal popolo e parlava dei poveri dicendo: “Gli animali selvaggi che vivono in Italia hanno ciascuno una tana, un covo, un rifugio, mentre coloro che combattono e muoiono per l’Italia non hanno nient’altro che l’aria e la luce e vagano con i figli e con le mogli, senza casa e senza fissa dimora; i generali mentono quando, nelle battaglie, esortano i soldati a combattere i nemici in difesa delle tombe e dei santuari, poiché fra tanti Romani, nessuno ha un altare familiare né un sepolcro degli antenati, ma combattono e muoiono per il lusso e la ricchezza altrui e, mentre sono chiamati padroni del mondo, non hanno una sola zolla di terra che sia di loro proprietà”.»
Plutarco, Vita dei Gracchi, 9, 2-6.