Può farcela la democrazia liberale a resistere e preservarsi da sola per sua virtù civica insita? Che cosa può preservarla dall’anarchia e dalla dittatura in circostanze di conflitto dirompente? Due domande suggerite da un classico reazionario: ‘La dittatura’ di Carl Schmitt, oggi ripubblicata dal Mulino (prima edizione, Laterza). E nei giorni scorsi recensito da Roberto Esposito su Repubblica.
Siamo a Weimar. Ingovernabilità. Inflazione. Spettro dei bolscevichi. Freikorps e spartachisti, Rosa Luxembourg gettata nella Sprea. Il protonazista Schmitt destinato a diventare il massimo giurista del Terzo Reich, estensore delle leggi razziali di Norimberga, delinea la parabola e il canone totalitario, anche sull’esempio leninista. Eccolo.
Dal caos la delega ai consoli. Dittatura commissaria. Da quest’ultima alla dittatura sovrana. A chiudere il cerchio, il plebiscito e l’acclamazione. Ed ecco il partito unico della democrazia diretta. Sancito dal cancellierato di Hitler con pieni poteri e poi plebiscitati nelle elezioni a lista unica del novembre 1933. Era poco più di 90 anni fa.
Analoga, anche se non su basi razziali e populiste identitarie, bensì di classe, la svolta leninista. Soviet con pieni poteri, terra ai contadini, Assemblea costituente. Chiusa poi l’Assemblea costituente, statizzata la terra, tutto il potere ai commissari del popolo. Dunque al partito. Fine del Soviet, mutato in cellula amministrativa. Prevale lo ‘stato d’eccezione’, che diviene norma santificata dal popolo. Democrazia che si rovescia nel contrario. Dittatura della maggioranza. Premierato come antipasto… morale.
Che cosa può impedire tutto questo? Le leggi? Le consuetudini? Il costume civico? No. Solo partiti forti e pluralismo organizzato, a sostegno delle leggi. Contro la dittatura della maggioranza, sempre latente nelle crisi. Era la ricetta di Hans Kelsen, rivale teorico austriaco di Schmitt ed estensore della carta dell’ONU.
Dunque ‘Stato, partiti e popolo’, contro lo schimittiano ‘Stato, movimento e popolo’. Con i partiti di massa a far da corpi intermedi tra Stato e società civile, in una dialettica con i movimenti che li renda civici e non in-civili. E a difesa delle garanzie e della divisione dei poteri.
La storia si ripete, persino negli USA, così come ieri da noi con Berlusconi e oggi con Giorgia. Persino lì si profila il pericolo della dittatura della maggioranza attorno a un capo carismatico. Attraverso le leggi e contro le leggi. Nel quadro inasprito globalmente dalle guerre e dalla crisi per la conquista del mercati. Nonché dai media pervasivi e feroci, e non solo ludici e fantasmatici.
Ma di tutto questo la sinistra liberale e liquefatta ha smarrito ogni memoria. La post-politica post-ideologica è anche questo. Ovvero: grancassa sui valori – sinistra dei valori! – e svuotamento di ceti e classi. Dismissione di rapporto agli interessi. Identità indistinta.
Mentre sul fronte opposto la Destra fa il contrario. Si identifica e si distingue. Si ramifica in un humus plurimo. E muove alla conquista dello Stato.