Seconda tappa del viaggio nella Direzione Tecnica dell’Arpa Campania. Siamo con il Direttore Tecnico Claudio Marro, con il responsabile della Unità Operativa Complessa MOCE Giuseppe Onorati e con il responsabile della Unità Operativa MOAR Piero Cau.
Cosa c’è dietro queste sigle?
Marro. Le attività svolte dalla U.O.C. Monitoraggio e Cemec, una struttura che conta circa 20 tecnici laureati, riguardano due grandi macroaree: il monitoraggio della qualità dell’aria (MOAR) e il monitoraggio della qualità delle acque interne (MAIN), oltre ad un settore (CEMEC), che garantisce le elaborazioni modellistiche meteorologiche. Oggi parliamo di aria, quindi delle attività della Unità Operativa monitoraggio qualità dell’aria, la struttura addetta ad emettere i bollettini di qualità dell’aria (circa 120/anno)
Onorati. Noi ci basiamo sulla conoscenza delle matrici ambientali, in particolare ci occupiamo di aria e di acqua. Per l’aria, se ne deve misurare la qualità e si deve conoscere la situazione meteo ambientale. Cemec, il Centro Meteo Clima, fa le previsioni sulle condizioni metereologiche della regione appoggiandosi sul modello nazionale Cosmolami, che esegue la stima delle precipitazioni e la temperatura con una griglia di 4 km. E’ gestito dall’aeronautica militare insieme ad Arpa Emilia-Romagna. A partire da queste stime di meteorologia generale, noi facciamo una previsione relativa alla qualità dell’aria nella quale si mettono insieme la parte metereologica e la parte che riguarda le emissioni.
Entriamo più nello specifico.
Onorati. In Campania l’organizzazione dello studio della meteorologia è tripartita. Esiste un centro funzionale di protezione civile che fa le previsioni per le situazioni che comportano rischi, le famose allerte. Poi c’è una rete regionale agrometeorologica, gestita dall’assessorato regionale all’agricoltura. Quindi l’Arpac, data l’importanza del ristagno dell’inquinamento per la qualità dell’aria, causato proprio dalle condizioni meteo ambientali, esegue le previsioni con modelli e produce bollettini con finalità sia di informazione al pubblico che istituzionale. Perché se ci sono più di tre giorni consecutivi di ristagno degli inquinanti si devono prendere provvedimenti.
Cau. Arpac effettua il monitoraggio della qualità dell’aria attraverso la rete regionale, producendo ogni giorno circa 8.000 dati. Una rete di 41 stazioni fisse e 5 mobili, posizionate su tutto il territorio regionale secondo i criteri dettati dalla normativa che va a controllare l’esposizione media a cui sono soggetti i cittadini. Le stazioni mobili sono utilizzate per integrare il monitoraggio laddove necessario o a rispondere a specifiche esigenze dei Comuni. I dati vengono validati – verificando in che condizione sono stati misurati, come stava funzionando lo strumento, le calibrazioni – per garantire che le informazioni abbiano valore. Quindi vengono pubblicati. In caso di criticità avvisiamo i Comuni, le Province e la Città Metropolitana.
E in caso di emergenza?
Cau. Intervengono le strutture dei Dipartimenti dell’Arpac. Ma, se necessario, siamo di supporto. Questo perché noi ci occupiamo della qualità dell’aria che è il risultato di tante emissioni, i Dipartimenti si occupano delle singole emissioni rilasciate dagli impianti.
Marro. Abbiamo anche acquistato una nuova strumentazione che ci consentirà una più precisa individuazione delle fonti inquinanti, però è bene precisare che in caso di incendio il monitoraggio con i mezzi mobili o con le centraline non è determinante.
Onorati. Nell’immediatezza, guardiamo tutte le stazioni fisse per vedere se l’esposizione media ha avuto un’alterazione. Inoltre, mandiamo una squadra a posizionare un campionatore per capire le concentrazioni di diossine, che vengono misurate in laboratorio, e se c’è una contaminazione dei suoli. Quindi misuriamo l’eventuale persistenza di inquinamento nella zona circostante l’incendio.
Negli ultimi tempi ci sono state criticità significative?
Cau. Le criticità che osserviamo negli ultimi tempi sul territorio regionale sono legate alle polveri, all’ozono, cui si aggiunge, nella città di Napoli e nella stazione di Teverola (CE), una criticità legata agli ossidi di azoto, riconducibile al traffico veicolare. Si tratta di un inquinamento che risente delle condizioni meteorologiche e delle caratteristiche geomorfologiche del territorio.
Onorati. Bisogna distinguere tra il monitoraggio delle emissioni, cioè la singola caldaia, il singolo camino, la singola industria, e il monitoraggio di quella che si chiama in termine tecnico qualità dell’aria-ambiente. Due diversi tipi di approccio. Per controllare le emissioni dei singoli comparti produttivi esiste un’altra filiera di attività che non è il monitoraggio. Si chiama inventario delle emissioni e lo fa la Regione con il Piano della qualità dell’aria.
Quale utilizzo viene fatto dei dati che fornite?
Onorati. Le informazioni tempestive consentono di regolarsi e di evitare alcuni comportamenti. Consentono al decisore di operare delle scelte. In alcuni casi quasi automatiche, quando cioè si superano determinate soglie e si attivano meccanismi di informazione o di divieto.
Marro. I Comuni prendono accorgimenti per risolvere le problematiche che si evincono dai bollettini prodotti da ARPAC. Se, per esempio, c’è un problema di polveri sottili, (es. superamento dei limiti annui, etc.) possono decidere di limitare il traffico per un certo numero di giorni. Come detto, i nostri dati possono orientare le scelte del decisore.
Onorati. Aldilà del singolo superamento, del singolo giorno, la normativa prevede molti limiti annuali. Soglie di esposizione che si calcolano a fine anno. L’interazione con il Comune per intervenire subito non è quindi la componente prevalente. Quella prevalente afferisce alla programmazione. Cioè, io guardo un anno o addirittura cinque anni e vedo se sono sopra certe soglie di valutazione, nel qual caso bisogna fare interventi programmatici.
Secondo voi, i valori normativi attuali sono adeguati?
Onorati. Proprio perché si deve ridurre l’esposizione della popolazione all’inquinamento, alcuni di questi valori sono programmatici e variano nel tempo. Quindi bisogna stare attenti non solo ai valori di norma ma anche ad altre indicazioni. Come le nuove regole che stanno emergendo a livello europeo e i valori suggeriti dall’OMS, che sono nettamente più bassi di quelli previsti dalla legge vigente europea e italiana.
Marro. In tutti i campi c’è un’evoluzione di limiti normativi. Per esempio, per un impianto dotato di AIA (autorizzazione integrata ambientale) 15 anni fa veniva previsto un valore limite che oggi con le nuove tecnologie disponibili viene ulteriormente abbassato; ciò ha riguardato gli ossidi di azoto, ma anche altri parametri. Parliamo comunque di emissioni ai camini.
La Regione Campania usa i vostri dati?
Cau. Certo. Noi interagiamo in tempo reale con la Regione, ci scambiamo informazioni, ci confrontiamo. Per esempio, la legislazione regionale per incentivare il territorio ad abbandonare il riscaldamento con le biomasse per favorire altre forme di riscaldamento con minore impatto ambientale, nasce anche dai nostri dati, dai nostri consigli, delle nostre raccomandazioni. Sempre, ovviamente, nel rispetto dei diversi ruoli.
Quali sono attualmente le tre più importanti criticità in Campania?
Cau. Le polveri, su tutto il territorio regionale ma particolarmente nell’area di Nola, Aversa e Acerra. Gli ossidi di azoto, soprattutto a Napoli in zona Museo, Ferrovia e via Argine. L’ozono, nei territori montani dell’avellinese e del beneventano.
Ma in generale, sulla qualità dell’aria in Campania possiamo stare tranquilli?
Onorati. E’ una delle criticità ambientali della Campania, con grandi differenze tra le varie zone. In Italia chi sta messo peggio è la Pianura Padana e noi siamo secondi o terzi classificati.
Prima puntata: https://www.genteeterritorio.it/la-direzione-tecnica-di-arpac-1-il-direttore/