Ancora sulla cultura di destra e di sinistra. La politica industriale va ascritta alla Destra o alla Sinistra?
Nasce a sinistra, col Welfare, il planismo, Keynes, il new Deal, l’Urss. O ancora con la pianificazione economica in Giappone, nel secondo dopoguerra, e con quella francese nel segno dell’Ena. Anche in Italia la si fece con Giolitti e Nitti al Sud. E anche con l’illuminismo e l’assolutismo illuminato. Roba progressista perciò. Il Pci stesso propugnava intervento pubblico e democrazia progressiva: imprese al servizio di interessi collettivi. Del territorio, contro i monopoli.Il riformismo socialista si incentrava proprio sulla programmazione. Tutte cose ben note.
Ora però si pone un tema: Fiat Stellantis. Sono francesi ormai, e però loro vogliono condizioni di favore. Dicono che faranno un milione di vetture. Elettriche. Qui. E però hanno venduto asset, dislocato la sede altrove, e già in passato trasmigrato in USA con Fca-Psa e Obama, che la politica industriale coi sindacati e Marchionne la faceva eccome.
Dunque la Meloni salta in groppa al tema e dice: piano industriale? Quale? Quanti miliardi qui? Quante vetture? Quali stabilimenti e quanti posti di lavoro? Domande ovvie. Che riguardano risorse, formazione, infrastrutture, fisco, futuro. Sarà demagogica Giorgia? Strapaesana? Incompetente? Bugiarda, visto che vuol privatizzare per 20 miliardi con ‘golden share’, lei dice? Tutto quel che volete. Eppure, in stile Garbatella, cavalca un grande tema culturale: la politica industriale. Che già fu del fascismo economico.
Certo Giorgia esclude il sindacato, che pure certe cose le denuncia. Da un ottica sindacale, che andrebbe allargata e declinata in grande: concertazione su occupazione e ruolo dello Stato in economia.
E che dice il Pd? Persino Calenda appare più di sinistra e chiede conto: patti chiari, dice, con l’impresa. E condizionalità precise. Brilla invece nel Pd la mancanza di una posizione e di una visione strategica. Una cultura economica. Interesse nazionale non di marchio o bandierina, ma di sviluppo, e uso delle risorse per la riproduzione allargata delle nostre filiere e del nostro export.
Ecco un tema tutto culturale: la modernità italiana non subalterna. Nato a sinistra e cavalcato a destra! Fin dagli anni del fascismo con gli Enti Pubblici, l’Iri, la Comit, che si accollò le crisi e grandi lavori pubblici con commesse ai gruppi privati. E controlllo dei prezzi e della moneta. E tanti tecnocrati ed economisti, anche socialisti, passati a servizio del regime. Da Beneduce a Menichella.
Attorno ad esso si crea e si creò anche, con la dottrina corporativa e il sindacato di regime, la famosa ‘egemonia’ al tempo del regime conservatore di massa. Che non è catechismo di sezione – come pensano gli stupidi snob post moderni o neo borghesi – bensì saldatura di interessi, convenienze e valori, o preferenze condivise. E oggi uno dei temi chiave è certo il lavoro, la transizione verde e digitale, e la non subalternità del Paese alla sfida delle economie più forti.
Contrastando il rigorismo liberale. Gestendo flussi migratori di difficile condivisione europea e che generano rifiuto comunitarista e populismo. Immaginario regressivo direbbe forse il sociologo smagato.
Certo. Anche! E però non è pura fiction tutto questo. Ma immagine in bilico del Paese di sé. Incertezza esistenziale tra regressione identitaria e bisogni di sviluppo. Tra premierato e secessione.
Ecco perché la Destra è più che mai alla ricerca di un immaginario connettivo capillare, da piazze o stadi, non collettivo. Di un senso comune e condiviso anti progressista. Con relativi spiegoni, mostre, libri, alta e bassa cultura. Mid cult: fiction, serie, moda, nazional pop di vario tipo, fiabe e saghe. Persino tifo e vecchi riti e miti. Posti, pasti, fasti, stracci e sfarzi, umoracci social e Opere Complete. Altri anniversari e altri calendari. Acquisizioni a buon prezzo delle idee dell’avversario. Tra cui la programmazione dell’economia.
Avversario che ha frattanto sgombrato la sua mente da autori chiave: Marx, Keynes, Gramsci. E da idee forza generali. Stato, mercato regolato, forme economiche cooperative, democrazia industriale. Come le antiche lavande di Paolo Conte che dormono ormai sepolte nel vecchi armadi della Sinistra.