Come Gigi Meroni, a suo modo anche Riva fu parte della insorgenza di quella generazione. Quando l’insegnante di italiano mi chiamò per chiedermi perché avessi citato quel calciatore nel tema, un po’ mi stupì. Allora non c’erano i social e pochi facevano del calcio narrazione epica. Mi venne d’istinto quel paragone tra quel meraviglioso giocatore e Orazio Coclite. Il romano che nel sesto secolo avanti Cristo aveva difeso da solo il ponte attraverso cui gli Etruschi di Porsenna tentarono di entrare in città. Accostare Riva alla virtù di quel giovane mi sembrò naturale. Forse quello fu il primo, nel modo possibile allora, di quei post tra epica, calcio e poesia di cui avrei negli anni a venire disseminato la rete.
Riva non era un gigante, anzi. Per uno con la sua forza esplosiva stare ben al di sotto del metro e ottanta non era poi tanto. E però era la sua proporzione perfetta a renderlo plastico come un inarrivabile eroe. Forse fu Brera per la prima volta ad accostarlo a un legionario romano.
Con Meroni qualche partita insieme in nazionale forse arrivarono a farla. O forse è stata sempre una mia fantasia. Comunque si completavano. Il Gigi di destra puntava sul dribbling ubriacante. Dall’altra parte Riva non aveva bisogno di dribblare, arte in cui era meno capace. Lui scattava imperioso e verticale di slancio. Gli bastava un tocco leggero con cui spostava il pallone per scagliare potente il sinistro. Non era il battito d’ali della farfalla granata. Riva era quel rombo in fondo innocuo che però ti annuncia tempesta.
Orgoglioso, introverso e appartato, l’uomo toccò presto le vette del mito. E senza troppe parole, con quella scelta di Cagliari a vita, seppe coniugare solidarietà e autonomismo meglio di ogni malriuscita riforma sul tema. Come fosse stato scaraventato sulle sponde sarde da una nave fantasma e ribelle. A liberarne ed esaltarne la dignità. E davvero fu in grado di coniugare più cose. I sardi, l’orgoglio e l’autonomia.
E la maglia azzurra e la nazionale italiana. Dove nuovamente si incarnò in quel romano del ponte, sacrificando entrambe le gambe alla patria. Quasi gramsciana, quella sua capacità, come il grande sardo, di delineare la Sardegna e il Mezzogiorno come grandi questioni italiane.
Non fu mai prodigo di parole, Riva. Anzi, ora che è morto resta di lui qualcosa di non detto. Sara’ per questo più forte la nostalgia ma anche la fantasia di immaginarne sentimenti e pensieri celati.
Per fortuna questo inverno sembra meno freddo e più lieve. E già, sotto qualche fiocco di neve, si scorge pallido qualche timido raggio di sole. L’aria troppo rigida ci avrebbe reso impossibile sopportare, anche fuori, il freddo nudo con cui la fine di quest’uomo ci penetra dentro. Nella mente e nel cuore.