L’architetto Daniele Vadalà è autore di una recente pubblicazione, dal titolo significativo “SPAESAGGIO”, in cui sviluppa una articolata riflessione critica sull’attuale tendenza recessiva del valore del paesaggio – anche in termini giuridico-costituzionali – rispetto agli interessi emergenti del settore ambientale, nella sua nuova dimensione economica-quantitativa, e in particolare della sicurezza energetica nella odierna congiuntura geopolitica.
La pubblicazione è densa e ricca di stimoli culturali ed interessanti richiami normativi. Essa sviluppa un’analisi aggiornata e propositiva sul tema non nuovo ma attualissimo della marginalizzazione e subalternità dei centri e borghi minori – desolatamente spopolati e ruderizzati, soprattutto nell’entroterra meridionale – proponendo la loro rivitalizzazione inquadrata in una prospettiva di sviluppo e valorizzazione del patrimonio e dei beni paesaggistici dei territori interni.
Il punto di partenza della tesi è costituito proprio dalla straordinaria ricchezza, complessità storico-geografica e specificità culturale del paesaggio del nostro Paese, che già Dante e Petrarca non a caso chiamavano letterariamente il Belpaese. A tale valenza paesaggistica corrisponde una originale e strutturata tradizione giuridico- normativa, risalente agli ordinamenti degli Stati preunitari e validamente sviluppatasi nel Regno d’Italia senza soluzione di continuità, poi solennizzata dal principio costituzionale dell’articolo 9 e successivamente articolata nella legislazione vigente sino all’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio (Dlgs 42/2004) ed alle più recenti integrazioni.
Come evidenzia l’autore, citando Lucio Gambi a sottolinearne la straordinarietà, il paesaggio italiano “lungo i quasi 1.200 chilometri dalla catena alpina al mare d’Africa squaderna una varietà di condizioni fisiche quanta se ne trova in altre regioni della Terra su un arco meridiano di 3 o 4mila km” ed è anche un favoloso contenitore di biodiversità.
La tradizione legislativa sulla tutela del patrimonio culturale e del paesaggio risale agli Stati preunitari, con una serie di significativi antecedenti, tra cui il famoso editto del Cardinale Pacca nello Stato pontificio, che introduceva una serie di fondamentali principi poi ripresi nel Regno d’Italia dalla legge “Rosadi” del 1909 – la prima normativa unitaria organica in materia – e dalla legge “Croce” del 1922, secondo la visione idealistico-estetizzante di quell’epoca.
La già strutturata normativa nazionale in materia non subì discontinuità nemmeno durante il regime fascista, che approvò le c.d. “leggi gemelle Bottai”, rispettivamente la n.1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali e la n.1089/1939 sulle cose d’arte, laddove le espressioni di eccellenza estetica della forza creatrice della natura (bellezze naturali) erano disciplinate in modo analogo alle espressioni della capacità creatrice dell’uomo (le cose d’arte).
L’autore nella ricostruzione narrativa ricorda l’apprezzato contributo di Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale dal 1936 al 1943, figura atipica del regime, che si distinse notevolmente e in positivo dalla condotta dei gerarchi fascisti, lasciando una essenziale e positiva impronta nella legislazione italiana. In particolare la legge 1089/39, elaborata da Santi Romano per la parte giuridica e Giulio Carlo Argan per quella storico-artistica, viene a tutt’oggi considerata dai giuspubblicisti italiani – anche sotto il profilo tecnico – una delle normative più riuscite della nostra pur copiosa e stratificata legislazione.
Nel 1948 è poi intervenuta la costituzionalizzazione solenne della tutela paesaggistica, attraverso la formulazione magistralmente scolpita dall’articolo 9 (elaborata in Costituente da Aldo Moro e Concetto Marchesi) – collocata tra i dodici principi fondamentali della parte prima – secondo cui la Repubblica “tutela il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione”. Tale disposizione, che ha conferito piena dignità costituzionale all’identità della cultura nazionale come collante unitario, è stata innovativamente ampliata nel 2022 con l’esplicita introduzione nello stesso articolo della Costituzione anche della tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali, suscitando però le riserve di una autorevole dottrina (Carpentieri-Severini) che argomenta di una presunta dequotazione del valore del paesaggio rispetto all’interesse emergente dell’ambiente-quantità (soprattutto riferito allo sviluppo delle energie rinnovabili).
Nel dopoguerra – evidenzia l’ autore – la situazione iniziava a trasformarsi con il boom edilizio ed economico del secondo ‘900 che accentuava lo storico disquilibrio territoriale tra il Sud d’Italia mediterraneo ed il Nord continentale, minacciando di degradare – con la disordinata espansione dei consumi urbani e di suolo – tra l’altro anche importanti contesti di rilievo paesaggistico (come ad esempio per il c.d. “sacco di Palermo” e la speculazione edilizia di Agrigento e nella Valle dei Templi). Rispetto a queste crescenti preoccupazioni ed alle relative esigenze di aggiornamento e rafforzamento delle tutele, veniva costituita una Commissione parlamentare d’indagine, presieduta da Francesco Franceschini (1964-67), la quale formulò conclusioni analitiche e propositive per un disegno di legge, poi affidato alla commissione Papaldo (1968-70), che avrebbe costituito le basi del futuro Testo unico in materia di beni culturali ed ambientali, approvato molti anni dopo con Dlgs 490/1999.
Nel 1985 interveniva il fondamentale “decreto Galasso”, poi convertito nella legge 431/85, con cui – nota l’autore – le nozioni di paesaggio e beni paesaggistici uscirono definitivamente dalla cornice estetizzante in cui erano relegate da decenni per diventare innanzitutto tema di pianificazione territoriale, secondo zone-categorie di interesse ambientale individuate in via generale per caratteristiche geomorfologiche dallo stesso provvedimento normativo. Dopo il Testo Unico del 1999 e la riforma costituzionale del titolo V nel 2001 – con il rinnovato riparto delle funzioni tra Stato e Regioni- nel 2004 è intervenuto il vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio (Dlgs. 42/2004), poi revisionato nel 2006-8, e l’istituto procedimentale dell’autorizzazione paesaggistica semplificata, introdotta nel 2010 e rivista nel 2017.
Nel frattempo sono sopravvenute importanti convenzioni internazionali, come quella europea del paesaggio del 2006 – non a caso firmata in Italia, a Firenze, e ratificata dal nostro Paese nel 2006 – e la Convenzione di Faro del 2005, il cui contenuto è stato pienamente integrato nel tessuto del Codice. L’autore osserva tuttavia che, se in tema di valorizzazione dei beni culturali si sono susseguiti dal 2014 importanti provvedimenti normativi, non altrettanto è avvenuto per il paesaggio ed i beni paesaggistici, laddove viceversa sembra manifestarsi nella prassi amministrativa una diffusa insofferenza verso le necessità di tutela, spesso viste solo come intralcio ed appesantimento burocratico rispetto all’azione realizzativa.
Vadalà collega efficacemente il tema dell’attuale depotenziamento della tutela e valorizzazione del paesaggio (“spaesaggio”) a quello della subalternità e marginalizzazione dei centri e borghi minori delle aree interne – fortemente avvertito anche in Campania – con accresciuti e perduranti effetti di spopolamento e devitalizzazione dell’entroterra, soprattutto meridionale. In realtà oggi, mentre nelle grandi aree urbane e metropolitane si concentrano le maggiori problematiche (ambientali, urbanistiche, produttive, sociali, dei servizi) della vita contemporanea ma al tempo stesso si focalizza la gran parte dei progetti, degli investimenti ed interventi di trasformazione, per i comuni interni occorre immaginare invece un ventaglio di idee nuove ed iniziative innovative in grado di risvegliarne la multifunzionalità, promuovendo – e non solo stagionalmente – prodotti e servizi di qualità.
L’autore cita Fabrizio Barca, ricordato per le politiche a suo tempo promosse da ministro, nel suo auspicio che “anche nelle aree interne il paesaggio collinare, premontano, montano, non sia concepito come il luogo di svago delle élite urbano-cognitive” – secondo la superficiale retorica dei borghi-presepi- ma siano invece “prima di ogni altra cosa un luogo di vita e produzione felice per chi resta ad abitarci”.
Il tema della rivitalizzazione dei centri minori attraverso il recupero di nuove prospettive di interesse è oggi fortemente avvertito anche nelle aree interne della Campania ed è oggetto di significativa attenzione da parte del governo regionale, con l’attivazione ad esempio di misure come il brand “Borghi, salute e benessere”, assegnato a dodici reti di almeno cinque piccoli comuni, aggregati per promuovere il proprio territorio. Il logo BSB viene conferito dalla Regione Campania a quelle proposte progettuali in grado di valorizzare le risorse locali mediante azioni di promozione quali l’accrescimento della capacità ricettiva, il miglioramento dell’offerta enogastronomica, l’allestimento di un sito web, l’organizzazione di visite guidate ed eventi culturali e naturalmente può costituire il primo passo per un ben più ampio ed articolato percorso di valorizzazione.