Candy. Si chiama come la lavatrice il chief della IBM responsabile generale per la Intelligenza Artificiale. Mathew Candy.
Sostiene una cosa strana: inutili in futuro le lauree in informatica, le macchine dice Mr. Candy sono già in grado di calcolare, progettare, sviluppare. Disegnare e comporre. Che bisogno c’è allora di programmatori e ingegneri? E in effetti già oggi un cilindro stampante in 3 D è come un forno. Visualizzi, imposti e dopo 20 minuti viene fuori un tostapane oppure una scultura. Lo abbiamo visto con i nostri occhi. Dal nostro dentista che la usa per le protesi, ma faceva anche uscire alberi di Natale e piccoli o grandi Batman (quelli per me).
E che dice ancora Mr. Candy? Che conteranno i soft skills, abilità creative morbide. Idee e cura p er le persone, servizi, modellamenti ad hoc dei prodotti. E infine decor, arti visive, e dunque immaginazione. Del resto, ma questo è sottinteso, le chat box saranno in grado di programmarsi da sé e di farsi e darsi le domande e le risposte giuste. Non v’è dunque alcuna necessità di informatici visto che queste figure stesse, in origine decisive, sono ormai obsolete come il bigliettaio.
C’è da riflettere dunque, poiché c’è del vero in tutto questo. E la fonte del discorso è credibile: l’Ibm in persona. Due considerazioni intanto.
La prima. Tutto questo non significherà affatto fine del lavoro comandato. Lo scriveva anche Federico Rampini da New York sul Corriere della Sera del 27 dicembre scorso. Anzi vi sarà espansione nei servizi, nella cura alle persone, nelle mansioni più umili e faticose, nei call center. Al contempo conoscerà un’espansione proprio l’industria minuta dei piccoli pezzi, e quella estrattiva delle terre rare per l’elettronica. Mentre crescerà uno smisurato esercito di riserva flessibile e fluttuante di disoccupati consumatori indebitati. Immigrati. Un proletariato consummer e costummer, fatto di sussidi e mini jobs.
La seconda notazione è questa: senza informatici saremo davvero più liberi? Senza gente che inventa e gestisca e ripari gli algoritmi, saremo davvero più sicuri e alleggeriti? Penso proprio di no. Anzi. Da un lato diminuirà il numero di coloro in grado di capire e governare la scienza matematica e quantistica di cui sono fatti i computers di nuova generazione; dall’altro resteranno pochi e selezionati macchinisti al vertice, tra i quali in primo luogo i tycoon manager delle piattaforme, capitalisti di nuovo conio.
Capitalisti informazionali, non puri manager come nelle vecchie analisi del capitalismo manageriale alla Burnham – Managerial revolution – bensì capitalisti scienziati e informatici. Versati nelle matematiche e nelle scienze oltre che nelle stock option, e abili anche nel registro dell’immaginario estetico, nell’invenzione estetica della fruizione, che è poi la molla che oggi alimenta il circolo produzione-consumo. Vale a dire. Invenzione di oggetti, spazi, avventure, spettacolo, persino scenari di guerre stellari o viaggi al centro della galassia.
E questa nuova cuspide di tecno capitalisti finanziari della AI, non ha affatto bisogno di informatici o scienziati di massa. E nemmeno di istruzione diffusa. Ha la sua propria istruzione, e ha i suoi di tecnici informatici. In primo luogo loro stessi e poi gli staff orizzontali connessi. L’impresa stessa è ormai un lab e gli estranei sono no admitted. È lì dentro che si progetta il futuro e si impiantano le domande giuste e gli input, gli algoritmi e gli scenari. Si tratterà di vedere e studiare come questo neo capitalismo tecno lab verrà a patti con il vecchio complesso militare industriale. Con la finanza e le imprese classiche multinazionali. Con la potenza ideocratica degli apparati imperiali dei grandi Stati, Russia e Cina, oggi ancora più forte di qualsivoglia imprenditore o capitalista lab. Ma la strada del nuovo capitalismo occidentale è ormai tracciata.
Sarà elitaria la nuova forma egemone e niente affatto democratica. Ecco perché l’Ibm ci manda a dire: lasciate stare l’informatica e dedicatevi ad altro. Ce ne occupiamo noi. Dedicatevi all’invenzione di forme di consumo e all’estetica di massa. E all’arte dell’incontro con gli oggetti e le persone. Alla cornice per generare il mondo.
Ai mezzi di produzione, che sono i nostri, ci pensiamo noi.